domenica 20 maggio 2012

IL CARROZZONE - RENATO ZERO

TIZIANO TERZANI


Mi piace essere in un corpo che ormai invecchia. Posso guardare le montagne senza il desiderio di scalarle. Quand’ero giovane le avrei volute conquistare. Ora posso lasciarmi conquistare da loro. Le montagne, come il mare, ricordano una misura di grandezza dalla quale l’uomo si sente ispirato, sollevato. Quella stessa grandezza è anche in ognuno di noi, ma lì ci è difficile riconoscerla. Per questo siamo attratti dalle montagne. Per questo, attraverso i secoli, tantissimi uomini e donne sono venuti quassù nell’Himalaya, sperando di trovare in queste altezze le risposte che sfuggivano loro restando nelle pianure. Continuano a venire.

CONCERTO GROSSO - ARCANGELO CORELLI

CARLA BRUNI

1 Non è la nuova Maria Antonietta. È la nuova Caterina de’ Medici. 2 Avrà anche perso le elezioni, ma ha fatto molta più strada delle altre top model. 3 La vergogna di essere italiana è come il suo essere di sinistra: poi passa. 4 Ora avrà tempo di incidere un cd di ninnenanne. Il quarto di fila. 5 Nessuno la dia per finita: se si candidasse in Italia sarebbe eletta all’istante.

MARK RUFFALO



sabato 12 maggio 2012

LA BALLATA DEI PRECARI

1 Nessun film dell’orrore saprà darti la stessa suspense del rinnovo del contratto semestrale. 2 Per un’impiegata precaria l’anticoncezionale è un vitale strumento di lavoro. 3 Se sei convinto che l’articolo 18 sia un gruppo rap, non hai tutti i torti. 4 Con un contratto a progetto non puoi fare progetti. 5 Sei al terzo stage di seguito? Cambia settore. O paese.

PASTORALE - SINFONIA N. 6 - 1 MOVIMENTO

MARUTI KAMPLY

“Quando non chiedi niente né al mondo né a Dio, quando non vuoi nulla, non cerchi nulla, non attendi nulla, allora lo Stato Supremo verrà da te inaspettatamente, senza che tu l’abbia invitato! 
Il desiderio di verità è il migliore fra tutti, ma è pur sempre un desiderio. Tutti i desideri devono essere abbandonati perché la Realtà affiori.

PEGGIO DI BERLUSCONI

Il primo ministro ungherese, Pal Schmitt, ha dato le dimissioni dopo essere stato accusato di aver copiato la tesi di dottorato.

giovedì 10 maggio 2012

LA TABACCHERIA - FERNANDO PESSOA


Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.
Finestre della mia stanza,
Della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è.
(E se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
Vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
Su di una via inaccessibile a tutti i pensieri,
Reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
Con il mistero delle cose sotto alle pietre e agli esseri,
Con la morte che porta umidità nelle pareti
e capelli bianchi negli uomini,
Con il Destino che guida il carretto di tutto sulla strada di niente.
Oggi sono vinto, come se sapessi la verità.
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
E non avessi altra fratellanza con le cose
Che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
La fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
Da dentro la mia testa,
E una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell'allontanamento.
Oggi sono perplesso, come chi ha pensato e creduto e dimenticato.
Oggi sono diviso tra la lealtà che devo
Alla Tabaccheria dall'altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
E alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.
Sono fallito in tutto.
Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto è stato niente.
Dall'insegnamento che mi hanno impartito,
Sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma là ho incontrato solo erba e alberi,
E quando c' era, la gente era uguale all'altra.
Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!
E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene così tanti!
Genio? In questo momento
Centomila cervelli si concepiscono in sogno geni come me,
E la storia non ne rivelerà, chissà?, nemmeno uno,
Non ci sarà altro che letame di tante conquiste future. No, non credo in me.
In tutti i manicomi ci sono pazzi deliranti con tante certezze!
lo, che non possiedo nessuna certezza, sono più sano o meno sano?
No, neppure in me... In quante mansarde e non-mansarde del mondo
Non staranno sognando a quest'ora geni-per-se-stessi?
Quante aspirazioni alte, nobili e lucide,
Sì, veramente alte, nobili e lucide, e forse realizzabili,
Non verranno mai alla luce del sole reale né toveranno ascolto?
Il mondo è di chi nasce per conquistarlo
E non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione.
Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
Anche se non ci abito; sarò sempre quello che non è nato per questo;
Sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;
Sarò sempre quello che ha atteso
che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
E ha cantato la canzone dell'Infinito in un pollaio,
E sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, né in niente.
Che la Natura sparga sulla mia testa scottante
Il suo sole, la sua pioggia, il vento che trova i miei capelli,
E il resto venga pure se verrà o dovrà venire, altrimenti non venga.
Schiavi cardiaci delle stelle,
Abbiamo conquistato tutto il mondo prima di levarci da letto;
Ma ci siamo svegliati ed esso è opaco,
Ci siamo alzati ed esso è estraneo,
Siamo usciti di casa ed esso è la terra intera,
Più il sistema solare, la Via Lattea e l'Indefinito.
Mangia cioccolatini, piccina; Mangia cioccolatini!
Guarda che non c' è al mondo altra metafisica che i cioccolatini.
Guarda che tutte le religioni non insegnano altro che la pasticceria.
Mangia, bambina sporca, mangia!
Potessi io mangiare cioccolatini con la stessa concretezza con cui li mangi tu!
Ma io penso e, togliendo la carta argentata, che poi è di stagnola,
Butto tutto per terra, come ho buttato la vita.
Ma almeno rimane dell'amarezza di ciò che mai sarò
La calligrafia rapida di questi versi,
Portico crollato sull'Impossibile.
Ma almeno consacro a me stesso un disprezzo privo di lacrime,
Nobile almeno nell'ampio gesto con cui scaravento
I panni sporchi che io sono, senza lista, nel corso delle cose,
E resto in casa senza camicia.
Tu, che consoli, che non esisti e perciò consoli,
Dea greca, concepita come una statua viva,
O patrizia romana, impossibilmente nobile e nefasta,
O principessa di trovatori, gentilissima e colorita,
O marchesa del Settecento, scollata e distante,
O celebre cocotte dell'epoca dei nostri padri,
O non so che di moderno - non capisco bene cosa -,
Tutto questo, qualsiasi cosa tu sia, se può ispirare che ispiri!
Il mio cuore è un secchio svuotato.
Come quelli che invocano spiriti invocano spiriti invoco
Me stesso ma non trovo niente.
Mi avvicino alla finestra e vedo la strada con assoluta nitidezza.
Vedo le botteghe, vedo i marciapiedi, vedo le vetture passare,
Vedo gli enti vivi vestiti che s'incrociano,
Vedo i cani che anche loro esistono,
E tutto questo mi pesa come una condanna all'esilio,
E tutto questo è straniero, come ogni cosa.
Ho vissuto, studiato, amato, e persino creduto,
E oggi non c' è mendicante che io non invidi solo perché non è me.
Di ciascuno guardo i cenci e le piaghe e la menzogna,
E penso: magari non ho mai vissuto, né studiato, né amato, né creduto
(Perché si può creare la realtà
di tutto questo senza fare nulla di tutto questo);
Magari sei solo esistito, come una lucertola cui tagliano la coda
E che è irrequietamente coda al di qua della lucertola.
Ho fatto di me ciò che non ho saputo,
E ciò che avrei potuto fare di me non l'ho fatto.
Il domino che ho indossato era sbagliato.
Mi hanno riconosciuto subito per quello che non ero e non ho smentito, e mi sono perso.
Quando ho voluto togliermi la maschera, era incollata alla faccia.
Quando l'ho tolta e mi sono guardato allo specchio, ero già invecchiato.
Ero ubriaco, non sapevo più indossare il domino che non mi ero tolto.
Ho gettato la maschera e dormito nel guardaroba
Come un cane tollerato dai gestori perché inoffensivo
E scrivo questa storia per dimostrare di essere sublime.
Essenza musicale dei miei versi inutili,
Magari potessi incontrarmi come una cosa fatta da me,
E non stessi sempre di fronte alla Tabaccheria qui di fronte,
Calpestando la coscienza di stare esistendo,
Come un tappeto in cui un ubriaco inciampa
O uno stoino rubato dagli zingari che non valeva niente.
Ma il Padrone della Tabaccheria s'è affacciato all'entrata ed è rimasto sulla porta.
Lo guardo con il fastidio della testa piegata in malo modo
E con il fastidio dell' anima che distingue male.
Lui morirà ed io morirò. Lui lascerà l'insegna, io lascerò dei versi.
A un certo momento morirà anche l'insegna, e anche i versi.
Dopo un po' morirà la strada dov'era stata l'insegna,
E la lingua in cui erano stati scritti i versi.
Morirà poi il pianeta ruotante in cui è avvenuto tutto questo.
In altri satelliti di altri sistemi qualcosa di simile alla gente
Continuerà a fare cose simili a versi vivendo sotto cose simili a insegne,
Sempre una cosa di fronte all'altra,
Sempre una cosa inutile quanto l'altra,
Sempre l'impossibile, stupido come il reale,
Sempre il mistero del profondo
certo come il sonno del mistero della superficie,
Sempre questo o sempre qualche altra cosa o né l'uno né l'altra.
Ma un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?),
E la realtà plausibile improvvisamente mi crolla addosso.
Mi rialzo energico, convinto, umano,
Con l'intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario.
Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli
E assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero.
Seguo il fumo come se avesse una propria rotta,
E mi godo, in un momento sensitivo e competente
La liberazione da tutte le speculazioni
E la consapevolezza che la metafisica
è una conseguenza dell'essere indisposti.
Poi mi allungo sulla sedia e continuo a fumare.
Finche il Destino me lo concederà, continuerò a fumare.
(Se sposassi la figlia della mia lavandaia magari sarei felice.)
Considerato questo, mi alzo dalla sedia. Vado alla finestra.
L'uomo è uscito dalla Tabaccheria
(infilando il resto nella tasca dei pantaloni?).
Ah, lo conosco: è Esteves senza metafisica.
(Il Padrone della Tabaccheria s'è affacciato all'entrata.)
Come per un istinto divino Esteves s'è voltato e mi ha visto.
Mi ha salutato con un cenno, gli ho gridato Arrivederci Esteves!, e l'universo
Mi si è ricostruito senza ideale nè speranza,
e il Padrone della Tabaccheria ha sorriso.

MIDNIGHT IN PARIS







JEAN PIERRE LEVARAY


Tutti i giorni la stessa cosa.
Arrivo al lavoro e mi travolge come un’onda di disperazione, come un suicidio, come un vuoto che m’invade, come l’ustione di una pallottola nella tempia.
Un lavoro troppo conosciuto, una sala macchine abbagliata dai neon e dei colleghi che certi giorni non si ha proprio voglia di ritrovare.
Neppure il coraggio di cercare un altro lavoro. Troppo tardi. Tempo fa avevo cercato, avrei potuto fare l’infermiere all’ospedale psichiatrico, prof al liceo tecnico, e poi no, mancanza di coraggio per cambiare vita. Questo lavoro non mi ha mai soddisfatto, eppure non mi ci vedo più a imparare altre cose, altri gesti. Si va avanti, ma non ci si abitua. Parlo al plurale perché non sono il solo ad avere questo stato d’animo: siamo tutti nella stessa barca.
Siamo arrivati a sperare che l’azienda chiuda. Sì, che delocalizzi, che ristrutturi, che aumenti la sua produttività, che abbassi i costi fissi. Smettere, insomma. Basta con questo lavoro, essere liberi. Liberi, ma senza altre preoccupazioni.
Sappiamo che arriverà, ce l’aspettiamo. Come per il tessile, per le fonderie… un giorno l’industria chimica pesante non avrà più diritto di cittadinanza in Europa.
Nessuno parla di questo malessere che investe gli operai che hanno superato la quarantina e che non sono più motivati da un lavoro fatto per troppo tempo, per troppo tempo subito. Un lavoro che si è dovuto salvaguardare perché c’era la crisi, la disoccupazione e bisognava essere soddisfatti d’avere l’impiego garantito, per poter continuare a consumare a scapito di vivere.
Nessuno ne parla. I sindacati lo nascondono, i padroni ne approfittano, i sociologi del lavoro non se ne interessano: i proletari non fanno notizia.
Abbiamo dato il cambio alla squadra del pomeriggio, felice di lasciare il reparto. È il nostro turno, adesso, per otto ore.
Siamo seduti in mensa, attorno a una tazza di caffè. I cucchiaini girano fiacchi, abbiamo tutti lo stesso stato d’animo e anche, di già, la stessa fatica di fronte a questa notte che sarà lunga. Chi parla dell’inferno operaio? Non tanto per la fatica, ma per tutta questa vita consumata, una vita già troppo breve che il lavoro salariato logora ancor più.

RICOMINCIO DA QUI - ALEANDRO BALDI

BLACKBERRY CONTRO IPHONE

1 Chi vive su facebook, ha bisogno dell’iPhone. E di un bravo analista. 2 Se hai un problema di sudorazione alle mani, il touchscreen non fa per te. 3 La tastiera del tuo Blackberry fa le bizze? Prova a tagliarti le unghie. 4 È inutile continuare a ripetere che hai scelto il Blackberry. È il tuo datore di lavoro che l’ha scelto per te. 5 Se più che un telefono cerchi qualcuno con cui scambiare due parole, c’è un nuovo iPhone pronto ad ascoltarti.

IL TEMPO PERSO - JACQUES PREVERT


Sulla porta dell'officina
d'improvviso si ferma l'operaio
la bella giornata l'ha tirato per la giacca
e non appena volta lo sguardo
per osservare il sole
tutto rosso tutto tondo
sorridente nel suo cielo di piombo
fa l'occhiolino
familiarmente
Dimmi dunque compagno Sole
davvero non ti sembra
che sia un po’ da coglione
regalare una giornata come questa
ad un padrone?