domenica 26 giugno 2011

UN AMORE SOLO


D'ogni cane abbandonato
ho cercato salvezza.
E solo in tormento d'amore
all'uomo è dato stesso sguardo.

Si torna fratelli
e sorelle
davanti al viso d'un amore solo.

SONO L'UOMO UNIVERSO - JORGE CARRERA ANDRADE


Io sono l'abitante delle pietre senza memoria, sete d'ombra verde;
il popolano di tutti i villaggi e delle prodigiose capitali;
sono l'uomo universo, marinaio di tutte le finestre della terra stordita dai motori.
Sono l'uomo di Tokyo che si nutre di pesciolini e bambù,
il minatore d'Europa, fratello della notte;
l'operaio del Congo e della spiaggia, il pescatore della Polinesia,
sono l'indio d'America, il meticcio, il giallo, il nero:
io sono tutti gli uomini.
Sopra il mio cuore firmano le genti un patto eterno
di vera pace e fraternità.

PAOLO CONTE - L'AMORE CHE (UMBRIA JAZZ 2009)



L’amore che parla di sé in un bello sguardo.
La percezione in cui mi perdo
e l’oltre mare di un assurdo
sì…
L amore che arriva con movenze lente
qui sotto gli occhi della gente,
mi parla con voce tremante…
sì.
Illudendo, lusingando
Incantando e come danzando
afferra le mani,
sì.
Affrettando, ansimando, provocando
e tutto abbreviando, come adorando,
sì.
Sì…
Ti amo tanto e ti sento arrossendo e impallidendo
quasi morendo, sì.
L’amore che trafigge me lascia che dica
“Non so cos’è.
Non lo so mica..
Ma credo in te dolce nemica….
sì."

IL CONCERTO - PIOTR ILICH TCHAIKOVSKY

NUOVI RICCHI


Non cambiare casa se non sali almeno di un piano. 2 Il tuo accento è il tuo nemico: investi in corsi di dizione. 3 Valentino, Chanel, Louis Vuitton: i figli dei nuovi ricchi si chiamano come le marche di lusso. 4 Tuo nonno era un contadino? Crea una fondazione a suo nome. 5 Nuovi ricchi è comunque meglio che nuovi poveri.

UN TOCCO DI ZENZERO - TASSOS BOULMETIS

lunedì 20 giugno 2011

AFFONDI IN AVANTI

ALBERTO MORAVIA SULLO "SCANDALO"

PATELLA


Sono molluschi dotati di una conchiglia conica, sottile, dal contorno grossolanamente ovale, che si adatta alla superficie alla quale l'animale aderisce. Il corpo, formato da un voluminoso sacco, è munito di un piede robusto che aderisce a ventosa sul substrato. La respirazione avviene attraverso pseudobranchie poste attorno al piede. La bocca presenta un organo caratteristico, detto radula, che consente loro di grattare le alghe adese alle rocce. Posseggono un occhio rudimentale, formato da un agglomerato di cellule sensoriali e pigmentate immerse in una sostanza gelatinosa.

sabato 18 giugno 2011

SPAGHETTI ALLO SCOGLIO


Aglio 4 spicchi
Brodo(fumetto) di pesce qualche mestolo
Calamari300 gr
Molluschi cozze 500 gr
Molluschi vongole 500 gr
Olio extravergine di oliva 1/2 bicchiere
Pomodori ciliegino 300 gr
Prezzemolo tritato 4 cucchiai
Scampi 4
Spaghetti 320 gr
Vino bianco mezzo bicchiere

■ Preparazione:

Per prima cosa pulite molto bene sotto l'acqua fredda le cozze eliminando quelle rotte o aperte, quindi togliete loro il bisso (barbetta) che fuoriesce dalle valve e grattate il guscio con un coltellino o con una paglietta nuova di acciaio; per quanto riguarda le vongole veraci, ecco una dritta per eliminare quelle piene di sabbia: armatevi di pazienza e prendetene una alla volta, picchiate la vongola con la parte del taglio sopra un tagliere di legno e verificate se fuoriesce del nero. Se questo accade, gettate via la vongola perchè sarà piena zeppa di sabbia scurissima.
A questo punto sciacquate molto bene cozze e vongole pulite sotto l'acqua fredda corrente, quindi scolatele. Ponete le vongole dentro ad un tegame a fiamma piuttosto vivace , coprite con un coperchio e lasciate che si dischiudano, poi spegnete il fuoco e lasciatele al caldo. Ripetete lo stesso procedimento anche per le cozze.
Passiamo ai calamari. Puliteli dividete le sacche dai tentacoli e poi tagliate le sacche ad anelli.

Mettete in un tegame uno spicchio di aglio schiacciato (o intero se preferite toglierlo dopo la cottura) e 2-3 cucchiai di olio, fatelo dorare e aggiungete i calamari; Quando questi si sbianchiranno, aggiungete il vino bianco, lasciatelo leggermente sfumare e poi aggiungete il prezzemolo lasciate cuocere per 10 minuti, quindi spegnete il fuoco e tenete al caldo.

E' il turno degli scampi: lavateli, asciugateli e praticate un taglio centrale sull'addome che parte dalla coda e arriva alla testa. Sull'estremità della coda è visibile, tra le carni, un filetto nero: si tratta dell'intestino che se non verrà eliminato risulterà amarognolo, quindi prendete uno stecchino di legno e fatelo fuoriuscire, poi estraetelo delicatamente con le dita. A questo punto, mettete in una padella 2-3 cucchiai di olio con uno spicchio di aglio tagliato a metà, fatelo leggermente dorare e poi unite gli scampi che farete rosolare su tutta la superficie . Spegnete il fuoco e tenete anche gli scampi al caldo.
Lavate e tagliate i pomodorini a metà.

In una padella piuttosto capiente (dovrà contenere tutto il pesce e la pasta), mettete 4 cucchiai di olio e due spicchi di aglio che farete dorare: aggiungete i pomodorini e lasciateli ammorbidire senza che si spappolino. Nel frattempo mettete a lessare gli spaghetti in abbondante acqua salata. Attendendo la cottura della pasta, aggiungete in padella, assieme ai pomodorini, i calamari con il loro fondo di cottura e anche il liquido di cottura di cozze e vongole che avrete filtrato attraverso un colino a maglie fini.Tre minuti prima della fine della cottura della pasta, scolatela e aggiungetela in padella, quindi terminate la cottura facendola saltare assieme ai liquidi aggiunti. Se fosse necessario, aggiungete anche qualche mestolo di fumetto di pesce.

Un minuto prima della fine della cottura della pasta, aggiungete il prezzemolo tritato), le cozze, le vongole e gli scampi. Terminate gli spaghetti allo scoglio regolando eventualmente di sale e pepe.Servite immediatamente.

MEDITAZIONI SULLA PRESUNZIONE


Prendiamo coscienza dei nostri difetti e dei nostri limiiti, e rendiamoci conto che nella sostanza non siamo diversi da coloro di cui ci riteniamo superiori.

venerdì 17 giugno 2011

BEAUTIFUL DANGEROUS - SLASH Feat. FERGIE

CARAMELLE


1 Se ti offrono una mentina, non è per generosità. 2 Non ridere dopo aver mangiato una liquirizia. 3 Quando mangi una mou, assicurati di avere uno stuzzicadenti a portata di mano. 4 La gomma da masticare è rosa e fa i palloni. Tutte le altre sono confettini per stressati e repressi. 5 Non le chiamare bon bon.

MY TOWN

GAY PRIDE


1 È ancora un buon posto per rimorchiare, ma solo se sei etero. 2 Se non vuoi essere riconosciuto, vestiti da Lady Gaga: sarete almeno un centinaio. 3 Quando scegli la parrucca ricordati che ci saranno trenta gradi. 4 Se sei lesbica, il tuo obiettivo non è ballare su un carro: è guidarlo. 5 Le transessuali nude attirano i fotografi, ma le coppie gay con il passeggino ancora di più.

CAPAREZZA


Cenni biografici?

“Famiglia semplice , di intensa elasticità mentale. Mamma , figlia di contadini , insegnava alle elementari. Papà avrebbe voluto cantare e invece, disilluso , finì in fabbrica alla Meridionale cavi di Giovinazzo”



L’ha riscattato lei

“Infatti mi ha sempre appoggiato. Sono lontano dal suo ideale ma rappresento il sogno realizzato per interposta persona . Accade raramente”

Inizi?

“In un garage , con gli amici. Ero timido , quasi autistico. Alle elementari e alle medie , non parlavo con nessuno. Sempre con le cuffie sulle orecchie, isolato”

A vederla sembra impossibile

“Sul palco vendico la parte di me che ha spesso taciuto. Ho conosciuto il successo a 30 anni. Avevo molte cose da dire e quando finalmente o trovato la formula , ho urlato. Mi sono fatto ascoltare”

Con le ragazze come va?

“Meglio che in passato. Sull’aspetto fisico non potevo contare. Usavo l’artificio della creatività Spedivo cassette autoprodotte , ma non sono servite a niente”

Perché?

“In mezzo alle canzoni d’amore , a tradimento, c’erano monologhi. Quelle ascoltavano e poi scappavano”

Ai suoi concerti l’età anagrafica oscilla dall’infanzia alla pensione

“Mi avvertono come un saltimbanco , un cantastorie , un interprete della farsa in musica. I bambini si riconoscono , i grandi regrediscono alla fanciullezza”

Ricorda Rino Gaetano?

“Lui e Alberto Camerini erano due modelli. Performer capaci di trasformarsi , travestirsi , scatenarsi con il pubblico”

Si riconosce?

“Io sono così. Un uomo tranquillo che in scena attraversa una metamorfosi”

Cosa pensa dei cantautori?

“Metafore , poesie , immagini. La buona scrittura mi è sempre piaciuta. La canzone perfetta comunque esiste”



Titolo?

“Più di uno. “Bocca di Rosa” di De André , “Maraja” di Capossela o “La storia siamo noi” di De Gregori. A Roma gliel’ho detto , mi è parso sorpreso”

Lei collabora , partecipa, firma libri , canzoni e prefazioni. Non si nasconde

“Perché dovrei ? Intervengo , discuto, sono curioso. Dissacrare è la cosa più sacra che ci sia e io vengo dalla Puglia. Una terra di mezzo , un posto che sotto il cielo ospita Padre Pio e Patrizia D’Addario”

Ha preferenze?

“Sono agnostico e amo gli eretici che ai dogmi , hanno opposto l’intelletto. Galilei, Giordano Bruno, Danton. Alla giustizia divina preferisco quella terrena”

Il primo libro letto?

“Neanche gli dei” di Isac Asimov. La fantascienza e il mistero , nelle fughe da fermo , aiutavano molto”

La folgorazione?

“Gandhi. Mi ha cambiato la vita. Ha presente quel concetto “Se non rispondono al tuo appello cammina da solo?”. Ecco , quello è il mio manifesto”

Non le sarà più possibile?

“Ma io non voglio unire o convincere nessuno. L’approvazione unanime mi spaventerebbe. Penso che piacerò a tutti solo quando sarò morto. L’arte , in fondo , è un affare da necrofili”

Torniamo alla sua esistenza precedente . I fan la conoscevano con un altro nome

“Ero Mikimix, conducevo un programma in tv e andavo a Sanremo”

1997 “E la notte se ne va” . Testo di grana grossa “Il giorno è rude/ come una palude/ e io ne vedo di cotte e di crude”

“Stiamo parlando di quasi vent’anni fa. Ero giovane , ingenuo, discretamente ignorante e incline a fidarmi di chiunque. Un ragazzo di Molfetta che arriva a Milano , scrive su commissione e interpreta un ruolo. Se quella vita mi avesse entusiasmato , comunque, sarei ancora lì”

Invece?

“Sono scappato e ho scoperto che dopo il compromesso esiste solo il compromesso. Ho tagliato i ponti con il passato e ho ricominciato da zero. E’ la mia storia , non me ne vergogno”

Zalone le ha chiesto un’involontaria autoparodia di quegli anni

“Nel suo film, in mezzo a un matrimonio, mi ha fatto cantare le canzoni dei Ricchi e poveri. Non sono un attore e voglio rassicurare tutti. Mi fermo qui”

Va al cinema?

“Se cerca una collezione completa dei Monty Phyton , sono la persona giusta”

Parliamo di politica?

“Se proprio vuole”

Ai suoi spettatori Berlusconi non piace

“Io non so se gli italiani siano un prodotto di Berlusconi o viceversa, ma lui della logica dell’incidente stradale è maestro”

Ce la spiega?

“Quando c’è un tamponamento , il traffico è rallentato da chi ne osserva le conseguenze. La tv di Berlusconi mostra immagini che colpiscono i sensi e che l’Italia, per 30 anni , si è fermata a guardare. Competere sul suo terreno è perdente , imitarlo è vano. Prenda la satira”

Non la convince?

“La adoro, ma quella su Berlusconi non funziona più, è superata dalla realtà”

Soluzioni? Monicelli parlava di rivoluzione

“Credo al valore della diversità. L’ultima rivoluzione riuscita , la Resistenza , muoveva altri sentimenti in un contesto troppo diverso da quello di oggi. Per me il 25 aprile è il giorno più importante dell’anno , ma il bipolarismo odierno h distrutto le ideologie lasciandoci solo il rumore del bar sport e derby tra tifoserie. Il Parlamento non dovrebbe essere una curva”

Lei vota?

“Certo, però non mi considero un seguace né un adepto. Non indosso magliette , non partecipo a campagne e a capo di un movimento , non sarei contento”

E Nichi Vendola?

“Una tessera non l’ho mai avuta. Rimango un passo indietro. In passato l’ho appoggiato ma ora, più che esprimere un pensiero col rischio che venga strumentalizzato , chiedo che le mie idee abbiano asilo politico”

Le idee di Caparezza?

“Vivo per l’arte e penso che la luce dell’Italia sia anche la sua contradditoria debolezza”



Non sia criptico

“Si annuncia sempre con allarme il barcone degli immigrati, ma si tace sugli italiani che emigrano perché non esistono merito , lavoro o prospettive. I laureati che espatriano li ho incontrati, è gente incredula. Davanti a un’ipotesi d’onestà sgranano gli occhi”

Che morale ricaviamo

“Diffido delle morali però consolarsi è necessario. Così sono tornato a casa . Amici e bar sono gli stessi dell’infanzia”

Le radici

“Sono importanti , ma si possono tagliare. Se fai musica , crei quelle di domani”

In Vieni a ballare in Puglia , il suo ritratto della terra d’origine non è apologetico

“C’è la bellezza e ci sono altre cose. I veleni dell’Ilva , il lavoro nero, la disoccupazione. Il mio rapporto con la Puglia somiglia a quello tra padre e figlio. Il secondo ascolta e impara , ma ha il diritto di contestare e alla fine , appartiene solo a se stesso”

Che cos’è il denaro per Caparezza

“L’unità di misura economica per valutare il tempo. Una cosa che non mi affascina ma preserva dallo sfruttamento”

ABBAS





NERI MARCORE' & FABIO FAZIO

COME POSSO DIRE - KARIN MARIA BOYE


Come posso dire se la tua voce è bella.
So soltanto che mi penetra
e che mi fa tremare come foglia
e mi lacera e mi dirompe.
Cosa so della tua pelle e delle tue membra.
Mi scuote soltanto che so...

OCARINA OF TIME 3D

LA MOLDAVA - SMETANA

JOSEPH CONRAD


Il mare si stendeva lontano, immenso e caliginoso, come l'immagine della vita, con la superficie scintillante e le profondità senza luce.

HEREAFTER - CLINT EASTWOOD

VERRA' L'ESTATE - PACIFO & MALIKA

sabato 4 giugno 2011

NON ASCOLTARE NULLA STAMANI


Non ascoltare nulla stamani.

Così presto valica la rete
degli ombrelloni chiusi.

La sabbia s'alza al tuo passo
e s'acquieta umida sul bagnasciuga.

Siediti, goditi la leggerezza
e i colori silenziosi
dal tuo bagno privato.

Voltati, lascia il mare alle spalle.

Guardalo
che corre piccolo verso di te.

Non ascoltare nulla stamani.
Guarda gli occhi del tuo bambino
e quanto di te
c'è
nei suoi sussulti
di gioia.

Soffermati
sulla forma dei suoi piedi,
sulle mani, sui capelli corti
tagliati di fresco.

Adesso puoi ascoltare il frastuOno
del mare mosso.

giovedì 2 giugno 2011

IL MARE A DESTRA


Di pomeriggio
prendevo il gattino di due giorni
e camminavo fin verso l'alta terrazza.

Lassù aspettavo l'ora più lontana
appoggiandomi sul muretto basso,
accarezzandolo.

E m'immaginavo così,
negli anni a venire,
con gli occhi chiari
a riflettere il mare.

Ed il minuscolo miagolìo
mi fa tremare ancora.

UMBERTO GALIMBERTI

MA QUESTO NON E' SONNO - PATRIZIA CAVALLI


Ma questo non è sonno. Io dormo
Nove ore ma non dormo
Non mi accoglie il risveglio
Perché anche se dormo io veglio
La notte non mi stringe
E non mi chiude a letto,
anche se ho il corpo steso
non mi toglie al mio peso.
I miei non sono sogni
Ma sono spiegazioni
Pedanti e laboriose,
repliche scialbe e oziose
delle mie poche azioni.

E i suoni ampi e lontani
Non aprono il mattino
Diversità del fuori,
ma sono lo spavento
del giorno e dei rumori

MY MOUSE PAD

MEDITAZIONI SULLA PRESUNZIONE


Se pensate di essere capaci di svolgere un compito che gli altri non possono portare a buon fine, non si può dire che siete presuntuosi, purchè la vostra valutazione sia fondata.

BEN HARPER - DON'T GIVE UP ON ME NOW

DIVENTARE LEGHISTA


1 Ripeti spesso che ce l’hai duro. Soprattutto se sei una donna. 2 Assumi una perenne espressione da trota. 3 Sdrammatizza il tuo simbolo d’appartenenza al partito: sostituisci la cravatta verde con delle pantofolone a forma di Shrek. 4 Non dire a nessuno che sai l’inno di Mameli a memoria. 5 Ricordati che per la Lega dei ticinesi rimarrai comunque un terrone.

INTERVISTA A MASSIMO CACCIARI


La nozione di libertà costituisce uno dei grandi temi ispiratori dell'intera filosofia. Come si definisce il concetto di libertà?

Si è affermato da più parti che la domanda fondamentale della filosofia sarebbe "perché qualcosa invece che nulla?". Io ritengo invece che la domanda che davvero urge in tutta la riflessione filosofica sia: chi siamo, e, in particolare, siamo liberi? Tutte le altre domande fondamentali sono in qualche modo derivate da questa. Che cosa può dirsi libero? Su quali basi, per quali ragioni possiamo dirci liberi? Partiamo dalla definizione di un grandissimo filosofo che interroga con estrema radicalità questo tema, Spinoza. In una delle prime proposizioni dell'Etica egli afferma: "Diciamo libera quella cosa che esiste per sola necessità della sua natura, e si determina ad agire da sé sola". Questa è la definizione più rigorosa che possiamo dare del termine libertà. Ma in base a tale definizione nessun uomo potrebbe dirsi veramente libero, poiché la nostra mente è sempre determinata ad agire da questa o quella causa. E tale causa è a sua volta determinata da un'altra causa, e così via all'infinito. Cè dunque qualcosa che possa dirsi libero sulla base della definizione spinoziana? Ecco la domanda che ci rivolgiamo, la domanda che ci inquieta, che ha sempre inquietato la nostra riflessione, non soltanto in quanto filosofi, ma soprattutto in quanto uomini. Perché ci rivolgiamo questa domanda, perché ci inquieta tanto questa domanda che sembra essere senza risposta e che probabilmente è senza risposta? Forse ci rivolgiamo questa domanda così inquietante, così radicale perché non siamo soddisfatti del nostro agire: se fossimo contenti del nostro agire ci chiederemmo se siamo liberi? Probabilmente no. L'animale non si pone questa domanda, per quanto possiamo saperne; l'animale è contento della sua azione, è assolutamente determinato, è assolutamente dominato dalle cause che lo spingono ad agire. Ma in questo essere totalmente dominato e totalmente determinato da queste cause l'animale è contento, si trova a suo agio, e quindi non si interroga sulla sua libertà. Noi ci interroghiamo sulla nostra libertà perché nel nostro essere determinati, nel nostro essere causati, non siamo contenti; in realtà la nostra azione non ci soddisfa mai. Tale interrogazione deriva da una profonda inquietudine, la quale a sua volta sorge da una profonda insoddisfazione: il nostro èrgon, il nostro agire, il nostro lavoro - così tradurrei il termine greco èrgon -, il nostro lavoro non sa mai raggiungere una enérgheia, come dicevano i greci: non è mai perfettamente a posto in sé, non è mai in pace con sé, non è mai vero atto; è sempre qualcosa di manchevole, qualcosa che soffre di una assenza, di una miseria, di una povertà, che non sa mai compiersi, non sa mai "perficersi", cioè non dà mai vita a qualcosa di perfetto. Perciò ci chiediamo: per quale ragione non produciamo mai qualcosa in cui essere in pace? Forse perché non siamo liberi, forse perché c'è qualcosa di cattivo che ci determina ad agire.


Il nostro interrogarci sulla libertà scaturisce dall'inquietudine che accompagna il nostro agire, da noi sempre percepito come manchevole, incompleto. In che termini allora il tema della libertà si collega a quello del male, che, secondo la visione neoplatonica, è appunto privazione, legato all'originaria limitazione delle cose umane rispetto alla perfezione di Dio?

Il tema della libertà, che ci si impone forse per le ragioni che ho indicato, si coniuga direttamente al tema del male. Noi ci interroghiamo sulla nostra libertà, ci poniamo la domanda se siamo liberi perché il nostro agire è male, perché facciamo male. Questa espressione va intesa nel senso più generale del termine: non si tratta di far male nel senso di violentare, uccidere, o derubare; no, facciamo male perché nessuna delle nostre opere ci soddisfa, perché non siamo mai enérgheia, atto, perché siamo sempre un èrgon imperfetto: in questo senso facciamo male. Ci poniamo la domanda intorno alla libertà perché ci sembra di essere cattivi, di fare male nel senso più radicale del termine; facciamo male - al di là di ogni accezione psicologico-moralistica del termine - in un senso ontologico. Il nostro tema diviene allora il tema della libertà e il tema del male, i quali formano un tutt'uno. Qual è stata la risposta dominante della grande tradizione filosofico-teologica a questo tema, che inquieta ciascuno di noi, non appena ci arrestiamo a pensare - è proprio questo infatti il lavoro della filosofia: arrestare e far pensare ? La risposta dominante nella nostra tradizione filosofica e teologica è stata quella imposta da Platone all'origine della nostra riflessione. Dice Platone - e la sua risposta è diventata canonica -: "del male, e quindi del nostro far male, il Dio non può essere ritenuto causa. Dio è bene, Dio è immutabile, è semplice, è veritiero, ed è causa di tutti i beni. Theos anaitios, Dio è innocente". Tutta la riflessione teologica successiva si fonda su tale presupposto platonico: Dio deve essere ritenuto innocente dei mali del mondo: è per nostra scelta, è per nostra libertà che noi facciamo male. Noi non siamo determinati dal divino ad agire male; le nostre imperfezioni, le nostre miserie sono frutto e prodotto della nostra libertà. Dio è innocente, è l'uomo che è causa del male, è l'uomo - secondo il grande mito che Platone narra nella Repubblica - che si sceglie il proprio daimon, il proprio carattere, il proprio demone sulla base della vita che ha condotto. Platone sottolinea che in questa scelta l'uomo è perfettamente libero. Tuttavia, una volta scelto il proprio daimon, egli rimarrà vincolato da ferree, inesorabili catene. Io sono libero nel momento in cui scelgo il mio carattere, il mio daimon; lo faccio mio liberamente, non posso dichiarare alcun Dio colpevole di questa scelta. Ma una volta che ho scelto il mio daimon, per questa vita io ci resto incollato, religato; l'uomo dunque è libero soltanto nell'istante supremo della decisione. Questo tema ritorna in varie forme anche nella cultura contemporanea: la libertà è riposta nell'istante della decisione: nella scelta sono perfettamente libero, poi quella scelta mi determina per sempre. Nella cultura classica greca però l'uomo è libero non solo nel momento supremo - come lo chiama Platone - in cui sceglie il proprio carattere, il proprio daimon. L'uomo è libero anche durante la propria vita, e la sua libertà coincide allora con il conoscere; cioè io sono libero nel corso della mia vita di accumulare tutte le conoscenze necessarie, affinché, nel momento supremo della decisione, io possa scegliere consapevolmente il mio destino. Questo è un tema caratteristico della cultura greca, è la sua dominante intellettualistica: la libertà dell'uomo si esplica essenzialmente nella sua volontà di conoscere. Soltanto qui sta la mia possibile salvezza: io posso conoscere il destino, posso conoscere ciò che mi destina. Un'immagine che ricorre in tutta la cultura greca e latina è quella per cui solo la conoscenza può salvarmi dal seguire il carro del destino in ceppi, come uno schiavo oppresso. Io non posso sfuggire il destino; ma posso conoscerlo, e dunque seguirlo volentieri, non come gli schiavi seguono il carro dei vincitori, in catene. Quindi la mia libertà consiste nell'intelligere deum, che significa comprendere ciò che è necessario. La mia libertà consiste nella capacità di armonizzarmi con ciò che è necessario, con il logos, la ragione che pervade tutto il cosmo; io posso conoscere questa ragione e adeguarmi, armonizzarmi con essa. Che ne è allora dal punto di vista della grande gnosi classica, della grande filosofia classica, del problema del rapporto tra libertà e male? Se la mia libertà consiste nel farmi una ragione dell'unica ragione, dell'unico logos che pervade tutto il cosmo, che ne è del male? Il male non sussiste più perché tutto è ragione, e male e bene non diventano altro che punti di vista soggettivi: il male non è altro che ciò che fa male a me, ma che non riguarda affatto la ragione del tutto; il bene diventa soltanto ciò che fa bene a me, che mi aiuta a vivere, che aiuta il mio benessere, ma non riguarda la ragione del tutto, nella quale male e bene cessano di avere significato, perché solo il necessario, il logos onnipervadente ha significato; male e bene hanno una consistenza puramente soggettiva. Il male non è altro, allora, che mancanza di sapere: è male che io non sappia e che non sapendo sia costretto a seguire il carro del destino come uno schiavo; il male è il non sapere e l'essere nella condizione di oppresso, non di alleato del destino, non di consapevole compagno del destino; un puro schiavo, un semplice schiavo. Il male non è altro che un vuoto, una mancanza. Un mero e un fuggevolissimo punto di vista di un soggetto ignorante, di una res nullius, come lo schiavo per gli antichi, una cosa di nessuno, di nessun rilievo, di nessuna importanza; un niente, un vuoto. Questa prospettiva è dominante nella nostra tradizione filosofico-teologica, la quale, a ben vedere, rimuove il problema del male, lo annichilisce: il male è niente, il male è nient'altro che il punto di vista della ignoranza e della impotenza dell'anima caduta.

Secondo la cultura greca la libertà dell'uomo coincide con la comprensione e l'accettazione di ciò che è necessario, del destino. In tale prospettiva il male viene ad assumere una consistenza puramente soggettiva: esso non è altro che mancanza di sapere. Quali sono i problemi connessi a questa concezione della libertà e alla conseguente rimozione del problema del male?

Dalla posizione della gnosi classica, la quale fa del male un niente, una mancanza, un vuoto, nascono grandiose aporie e nuovi problemi, con cui si imbatte la cultura classica e anche la cultura teologica cristiana, così come quella islamica o giudaica. La caduta dell'anima, per cui l'anima ignora, si fa impotente, non vede più il necessario, non è forse a sua volta necessaria? L'anima cade; l'anima cade nell'universo delle dissomiglianze, nell'universo del molteplice. I grandi filosofi dell'antichità, da Platone e Aristotele, ma ancor più della tradizione neoplatonica, da Platone fino a Plotino e a Proclo, affermano appunto che la caduta dell'anima è necessaria. Prendiamo un testo molto noto, il Fedro di Platone. In esso Platone narra che l'anima non può resistere al seguito del Dio, nella contemplazione del necessario. A un certo punto tutte le anime cadono, si reincarnano, ritornano nell'universo delle dissomiglianze. Noi non possiamo resistere sempre alla visione del Dio; questa visione a un certo punto ci acceca, ci affatica troppo, la nostra anima non può sopportarla e cadiamo. Di questa caduta Dio è innocente oppure no? Per l'anima questa caduta è male, è sofferenza, è mancanza. Ma questa caduta è colpa dell'anima? Come possiamo attribuirla all'anima, questa colpa, se diciamo che questa caduta è necessaria? Se essa è necessaria, l'anima cade non per sua colpa. Chi ha fatto l'anima, se non Dio? Chi ha prodotto l'anima? Nel Timeo Platone afferma che l'anima è plasmata da un Dio. E nel Fedro si precisa che questanima necessariamente cade. È necessario che l'anima cada, perché l'anima dell'uomo non è Dio. Può giungere alla contemplazione di Dio, ma non può fermarsi sempre, eternamente, in questa contemplazione; deve dar vita a nuove vite. Ma di questa caduta necessaria come possiamo dire che è colpevole l'anima stessa? Come possiamo tener ferma la concezione da cui siamo partiti, quella del theos anaitios, per cui Dio è innocente e non è causa del male, se la caduta dell'anima è male ed è necessaria? Ecco la grande aporia in cui si imbatte tutta la tradizione filosofica tardo-antica e, a partire di qui, tutta la tradizione filosofica e teologica cristiano-europea. È la grande domanda che assilla non soltanto il filosofo, ma l'intera grande letteratura europea. Basti pensare al nostro Leopardi, a Dostoevskij: se l'anima cade necessariamente in questa valle di lacrime, come può essere colpevole? Come possiamo non pensare che vi sia un male in Dio, se l'anima cade e non cade per sua colpa, se questa caduta è necessaria? Qual è la risposta cristiana? Analizzando attentamente i testi si comprende quanto queste risposte, spesso presentate in termini scolastici, sistematici, siano in realtà drammatiche per i grandi autori che le interpretano. La risposta canonica nella cristianità è quella agostiniana: Dio non è autore del male, ma ne è origine. Per conseguire un bene maggiore - e il bene maggiore che Dio vuole conseguire è la nostra libertà, Dio ci vuole rendere liberi - Dio non poteva che farci capaci di peccato, di male. Dio è origine del male, perché ci fa capaci di peccato, ma non è l'auctor del nostro peccato. Solo noi facciamo il male, solo noi siamo gli autori del male; i peccati sono solo nostri, e bestemmia chi li attribuisce a Dio.


Il grande dilemma in cui si imbatte la nostra tradizione filosofica è rappresentato dalla giustificazione della provvidenza divina dinnanzi al male fisico e morale. La questione si complica ulteriormente quando, sotto il nome di predestinazione, essa viene a investire il rapporto fra libertà umana e divina. In che termini il tema del libero arbitrio si collega allora a quello della salvezza?

Secondo la visione agostiniana Dio è l'origine del male poiché, per renderci liberi, ci rende capaci di peccare. Tuttavia solo noi siamo gli autori del male. A questo punto si pone il problema della salvezza. Sono in grado io, come peccatore, di salvarmi? No, dice Agostino, tu da solo non puoi salvarti, né questa possibilità è legata alla conoscenza. Qui Agostino e tutta la cristianità si separano nettamente dal mondo classico: non vi è salvezza nella conoscenza pura e semplice. L'abisso del peccato, del male è tale che l'uomo non può trarsene fuori da solo; è soltanto attraverso l'azione della grazia divina che l'uomo può salvarsi. Dunque i peccati sono dell'uomo, ma la possibilità di salvarsi è riposta in Dio. Dice Agostino: "i peccati sono tuoi, i meriti sono di Dio". La salvezza è soltanto un dono divino. Io sono l'autore del male ma non sono l'autore della mia salvezza. Si pone allora un altro grandissimo problema: Dio vuole tutti salvi oppure no? Siamo di fronte a un bivio: la prima ipotesi è che Dio ci voglia tutti salvi. In questo caso, visto che ciò che Dio vuole può, viene vanificata la libertà dell'uomo. Che esso pecchi oppure no, è indifferente: il destino conclusivo sarà la salvezza, voluta da Dio. Vi sarebbe allora solo una libertà paradossale, quella di poter peccare, la quale però conterebbe ben poco, perché, se Dio vuole tutti salvi, io, malgrado l'immensità del mio male, sarò salvo, e quindi la libertà viene annullata. La seconda ipotesi, che è quella di Agostino, ripresa poi anche da Tommaso, è che non tutti si salvano. Ma allora, perché Dio salva alcuni e non altri? Si risponde: per grazia imperscrutabile. Nessun uomo si salverà se non colui che Egli vuole si salvi, dice Agostino e ripete Tommaso. È il grande tema della predestinazione che domina nella teologia luterana, il grande tema del dibattito tra Lutero ed Erasmo che conclude l'Umanesimo e il Rinascimento europeo: il De libero arbitrio di Erasmo da un lato, il De servo arbitrio di Lutero dall'altro. Dice Lutero: facciamo di Dio un idolo ozioso se lo leghiamo alla necessità - alla necessità di salvarci tutti - e ne eliminiamo la forza predestinante. Se io faccio il bene è perché Dio mi ha eletto, ha costruito la mia anima in modo tale che possa fare il bene; e altrettanto se pecco, altrettanto se sono un peccatore, cioè se la mia natura è tale che mi costringe a peccare: è questa la forza predestinante di Dio. Per Lutero ciò segna il crollo di ogni possibile teodicea, ovvero di ogni possibile giustificazione di Dio, dell'idea, nata con Platone, che Dio sia innocente. Dio ci predestina in base a un imperscrutabile disegno: alcune nature sono nate per peccare, altre, che pecchino o non pecchino, sono predestinate alla salvezza. Ogni discorso volto a giustificare Dio per il male del mondo è condannato da questo punto di vista all'insensatezza perché Dio non può più essere ritenuto innocente, come in Platone, ma ancora, tutto sommato, in Agostino, secondo cui Dio è origine ma non autore del male. Con Lutero, invece e con la dottrina della predestinazione, Dio è proprio autore della mia anima, che è un'anima che pecca, destinata a peccare.


La concezione di Erasmo, che vede la condizione umana come una lotta fra bene e male, si contrappone nettamente alla radicale negazione luterana della libertà dell'uomo. Come valutare, oggi, queste due posizioni?

La prospettiva di Lutero, che sembrerebbe così lontana dal nostro mondo, in realtà determina il nostro modo di pensare, a differenza del discorso di Erasmo, che difende il libero arbitrio e che, pur apparendoci più vicino a noi, in realtà appartiene al mondo passato dell'Umanesimo e della Rinascenza. Mentre infatti Erasmo rimane nell'ambito della teodicea, del tentativo di giustificare Dio, Lutero, invece, taglia il nodo gordiano: basta con l'insensato interrogarsi sull'innocenza o meno di Dio. Il nostro arbitrio è servo. Ma questo cosa vuol dire? Che l'uomo deve agire nel suo mondo come se fosse perfettamente libero. In caso contrario, presupponendo di non essere libero, finirebbe per non poter più agire, nella percezione che in ogni caso il proprio destino sia già segnato. L'uomo non può sapere nulla del proprio destino, e dunque deve agire nel mondo, gettato nel mondo, come se la sua salvezza dipendesse da lui; so che non dipende da me, e so anche di non poter minimamente influire né comprendere il disegno divino che mi predestina, e dunque di fatto è come se tutto fosse in mia mano. Come concepire questa libertà? Grandi umanisti italiani come il Valla o indirettamente l'Alberti avevano già rovesciato le tesi consolatorie e ireniche erasmiane. La difficoltà di comprendere cosa sia la libertà è analoga alla perplessità che Agostino dimostrava di fronte al concetto del tempo. Egli diceva: "quando nessuno mi chiede che cosa è il tempo, mi pare di saperlo; appena qualcuno mi chiede: 'ma che cosa è il tempo?', non riesco a definirlo, non riesco più a capirlo, non riesco più a dare una risposta". Lo stesso vale per il concetto di libertà. Possiamo forse comprendere il concetto di libertà così come comprendiamo, calcoliamo altri fenomeni? È impossibile dimostrare la nostra libertà, è impossibile provare che siamo liberi: è proprio questa l'origine del discorso luterano. Proviamo a dimostrare questa impossibilità. Facciamo un esperimento di pensiero: come posso provare, ora che sto parlando, che ciò che sto dicendo dipende da una mia scelta, che io ho scelto di dire ciò che sto dicendo? Come faccio a provare che è per mia libertà che ho detto le parole che ho appena pronunciato? Un esperimento capace di dimostrare la libertà della mia scelta sarebbe attuabile se io potessi tornare indietro all'istante immediatamente precedente questo in cui vi sto parlando, e con me tornassero indietro tutte, nessuna esclusa, le condizioni generali di un istante fa, e io ripetessi con la stessa voce, gli stessi termini, nello stesso tempo, ciò che avete appena ascoltato. Questo è l'unico esperimento per cui potrei dire: sì, sono libero. Se tutto il mondo tornasse a un istante fa, e io ripetessi ciò che avete appena ascoltato allora dimostrerei che l'ho fatto per mia libera scelta. Ma questa dimostrazione, questo esperimento è radicalmente impossibile; è concepibile ma non può realizzarsi. Allora per forza io dubiterò sempre che ciò che vi ho detto sia il frutto di una costrizione, che io sia stato causato a dirvi ciò che vi ho detto, che sia stato un effetto di una catena concomitante di cause che in quell'istante preciso - mio e del mondo - ha costretto me, questa parte del mondo, a dirvi le cose che vi ho detto. La libertà è indimostrabile. Ecco l'idea kantiana: la libertà non è un fenomeno, non è una cosa; la libertà è un pensiero dell'uomo, indimostrabile, incatturabile, è un noumeno. Non è un fenomeno, che possiamo vedere, calcolare, misurare, catturare; è una idea. Questa idea non è dimostrabile: mai potrò dimostrare di essere libero, ecco il taglio luterano che impronta di sé tutta la cultura contemporanea. La libertà è indimostrabile, ma è un'idea che mi è necessario alimento. Ecco la ragione pratica kantiana: è vero che io non posso dimostrare di essere libero, ma è vero altresì che non posso vivere senza questa idea. Ecco la necessità della libertà: non posso vivere senza questa idea. Dirà Nietzsche: è un errore voler dimostrare la nostra libertà, ma è un errore originario, inevitabile, che non posso cancellare dalla mia mente, che alimenta tutto il mio pensiero. La libertà è il presupposto di ogni nostro agire; ma come tutti i presupposti, come tutti i principi primi, è indimostrabile, è necessaria ma indimostrabile. Il principio di identità e di non contraddizione non è dimostrabile, è intuibile, esso presiede a ogni nostro argomentare, ma non è a sua volta dimostrabile: il primo principio è il fondamento. In questi stessi termini dobbiamo pensare la libertà: essa è il fondamento di ogni nostro agire, ma non è, appunto, dimostrabile, come non sono dimostrabili tutti i presupposti, i quali rimangono tuttavia necessari. Se vogliamo, la libertà è una congettura, ma una congettura necessaria. Vorrei aggiungere, per finire: non sono in definitiva congetture tutte le nostre verità ultime? Tutto ciò che ci sta veramente a cuore, tutto ciò per cui viviamo e a volte moriamo, non sono forse congetture? Lungi dall'essere le cose più deboli ed evanescenti della nostra vita, non sono forse proprio le congetture, gli errori originari, le insopprimibili supposizioni le cose più necessarie alla nostra vita? Non è forse l'indimostrabile, l'inattingibile, l'incatturabile ciò che ci sta più a cuore? La libertà appartiene appunto a questo nostro fondamento assolutamente infondato, a questo nostro originario che non potrà mai essere provato, che non potrà mai essere dimostrato, che non potrà mai essere analizzato come analizziamo le cose e i fenomeni. Ma che non sarà mai revocabile fin tanto che pensiamo. Pensando infatti siamo spinti lontano dal dimostrabile, dal catturabile, dal fenomenico, verso il noumenico, verso ciò che è soltanto idea. E all'ambito dell'idea non revocabile, cui siamo davvero destinati, appartiene la libertà. Vi è cioè un destino, e questo sentiamo nella nostra mente. In questa porzione di cosmo che è la nostra mente si mostra un destino, una necessità per noi: pensare che siamo liberi.

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FIORELLO CALIFANO

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LUCE DEI MIEI OCCHI - GIUSEPPE PICCIONI

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TIZIANO


Ancor di più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l'insicurezza, l'ingordigia, l'orgoglio, la vanità. Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che riguardano gli altri sulla base di più moralita e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i figli a essere onesti, non furbi. Riprendiamo certe tradizioni di correttezza, rimpossessiamoci della lingua, in cui la parola "dio" è oggi diventata una sorta di oscenità, e torniamo a dire "fare l'amore" e non "fare sesso". Alla lunga anche questo fa una grossa differenza.

THE TREE OF LIFE - TERRENCE MALICK

CESARE PAVESE


Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri.