venerdì 20 dicembre 2013

DORIS LESSING - DARIA BIGNARDI

Doris lessing era un tipaccio. Quando nel 2007, a ottantotto anni, vinse il Nobel per la Letteratura, disse: «Dopo tutti questi anni? Sono esausta, dovrei festeggiare a champagne ma credo invece che andrò a dormire». E dopo qualche tempo: «Il Nobel è stressante: il telefono non smette di squillare. Il gatto è molto infastidito». Viveva a Londra sola col suo gatto e molti libri in una casa a due piani di West Hampstead, un quartiere a nord. Non cucinava. Il suo giardino era in rovina perché non riusciva più a lavorarci. Da anziana era molto ingrassata.

«non si sente mai sola?», le chiedevano i giornalisti. «No. Mi piace la solitudine; è davvero preziosa. Quando sei giovane, pensi che nuoterai in quel lago meraviglioso con un sacco di tempo a disposizione, ma poi diventi sempre più affaccendato».

Adorava i gatti, aveva scritto un libro intitolato Gatti molto speciali. Era lucida, tagliente, poco sentimentale.

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Diceva che aveva cominciato a scrivere a sette anni e aveva subito capito che non avrebbe mai fatto nient’altro.

Nata in Iran quando ancora si chiamava Persia e vissuta nello Zimbabwe quando ancora si chiamava Rhodesia, a quindici anni aveva lasciato gli studi: «Mi annoiavo. Volevo osservare il mondo e scrivere storie che raccontassero quello che vedevo». Aveva sposato Frank Wisdom a diciannove: «Le ho fatte tutte, la cucina, i bambini, ma anche lì mi annoiavo fino alle lacrime». Aveva lasciato il marito e due figli per sposare Gottfried Lessing, comunista duro e puro. Si era iscritta al Partito comunista, poi lo aveva abbandonato, disgustata dalle purghe staliniane, e non perdeva occasione di criticare duramente tutte le ideologie.

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Il suo primo romanzo, L’erba canta, fu pubblicato nel 1950 a Londra, dove si era appena trasferita col terzo figlio, lasciando in Africa i due ex mariti e gli altri due figli. «Mio figlio mi salvò allora da tante distrazioni, diciamo così, pericolose. Il fatto di dovermi occupare di un bambino limitava la mia libertà di movimento. La Londra di allora era affascinante, piena di artisti e intellettuali che si incontravano ogni sera nei locali di Soho. Sono un tipo molto socievole, se fossi stata libera chissà in quali pasticci mi sarei cacciata», raccontava il tipaccio.

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Dal momento che nei suoi romanzi

descriveva l’animo e la vita delle donne e parlava di politica e di libertà, la etichettarono come scrittrice femminista, cosa che la faceva infuriare. Non voleva essere il testimonial di niente.

Quando domenica ho saputo della sua morte, ho preso la scala e sono andata a cercare negli ultimi piani della libreria i suoi vecchi tascabili Feltrinelli che leggevo da ragazza. Il primo tomo del Taccuino d’oro era pieno di patacche. L’ho aperto a caso, e ho trovato questa frase sottolineata: «Una donna che non ha un uomo non può incontrarne uno, qualsiasi uomo, di qualsiasi età, senza pensare, sia pure per mezzo secondo, forse questo è il mio uomo».

Non era una femminista, Doris Lessing, no. Era un tipaccio.

 

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