Volteggiare a trecentosessantagradi
Ammaniti, com'è diventato lettore?
"Sono stato fortunato. Crescendo con testi quali le Fiabe italiane di Italo Calvino, sono diventato un grande ascoltatore, prima di appassionarmi alla lettura. Le favole funzionavano come le serie televisive: ogni sera mi leggevano una storia breve, di forte impatto. La televisione era noiosa, avevo tutto il giorno libero, e non esistevano i social network. Ero come un topo in laboratorio, a cui mettevano di fronte il cibo (la letteratura) e mangiavo. Se avessi vent'anni adesso non leggerei neanche un libro".
Come si educa alla lettura?
"È diventato impossibile combattere ad armi pari con le altre forme d'intrattenimento: film, Internet, videogiochi. I libri richiedono impegno e applicazione per finirli, sono oggetti difficili. Il linguaggio letterario ha bisogno di tempo per dargli un senso. Ai giovani consiglio di avvicinarsi alla parola scritta durante l'adolescenza, quando ti chiedi in maniera intensa chi sei, di chi sei innamorato per la prima volta, se conti qualcosa. I libri sono il più grande aiuto nei momenti di debolezza e spiegano bene questepercezioni".
Il suo bestseller Io non ho paura( Einaudi) ha superato in Italia un milione di copie. Lei da chi viene letto?
"I miei libri sono adottati nelle scuole, a volte imposti, ma gli studenti poi se ne interessano in maniera sincera. Li tiro dentro le storie, li costringo a chiedersi come andrà a finire e quindi a continuare a leggere. E ho un altro privilegio: sono pubblicato in 44 paesi, confrontandomi con una platea eterogenea di lettori".
Un italiano su due non legge neanche un libro all'anno. Perché i festival sono sempre affollati?
"Come nei raduni di appassionati di modellismo, se li aggreghi tutti insieme sembrano una moltitudine. Al Festivaletteratura di Mantova o a Bookcity vanno tantissime persone, poi se le sparpagli, rispetto al totale della popolazione, sono poche. Ma è anche vero che sono cambiate le esigenze dei lettori, e il livello della letteratura. Quand'ero ventenne mi misuravo con L'uomo senza qualità di Musil, con laRecherche di Proust. Magari non capivo, ma li mettevo nel curriculum. Mi sentivo soddisfatto come persona che voleva occuparsi di cultura. Ora c'è un'idea consumistica del libro. È lo scrittore che deve andare dai lettori con storie che, forse, avrebbero potuto scrivere loro, e i lettori vogliono conoscere lo scrittore come persona, oltre che come autore. Resta però un dato importante: c'è ancora il 50% degli italiani a cui i libri piacciono".
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