domenica 27 giugno 2010

RITRATTI - PARTE 2





RITRATTI - PARTE 1





MONDO DI CESARE CREMONINI

L'INSONNIA DELLE PAROLE NUOVE


M'inganna il suono
delle parole nuove
che dal senso libere
vestono abiti informali.

Così la falesia
l'avrei detta un fiore

come le malghe
lunghe catene montuose.

IL NOME DELLA ROSA

JOHAN WOLFGANG GOETHE


Non sfuggire questo giorno; quello che rincorri non è certo migliore.

PASSATEMPO DI PAOLO FRESU

L'ETA' DEL DUBBIO DI ANDREA CAMILLERI


Nel corso di questo nuovo caso - "la più marina delle indagini di Montalbano" l'ha definita Camilleri - che si svolge tutto nel porto di Vigàta, tra yacht e cruiser, il lettore resterà colpito dal cambiamento che si è verificato nel commissario, come se Camilleri avesse voluto scavare più intensamente dentro i sentimenti del suo beniamino. Una mattina viene trovato nel porto di Vigàta un canotto, all'interno il cadavere sfigurato di un uomo. L'ha riportato a riva un'imbarcazione di lusso, 26 metri, abitata da una disinvolta cinquantenne e da un equipaggio con qualche ombra. Proprietaria e marinai devono trattenersi a Vigàta fino alla fine dell'inchiesta sul morto (ammazzato col veleno, stabilisce l'autopsia), ma intanto è proprio su di loro che Montalbano vuole indagare.

Andrea Camilleri, siciliano con molti anni di esperienza sulle spalle, sa interpretare i segni del destino e sa che quando un uomo si sveglia la mattina con i sogni che continuano a girargli in testa, qualcosa nella parte profonda del suo animo si muove in maniera turbolenta. Salvo Montalbano, invece, non riesce proprio a decifrare i sogni che fa durante le sue notti solitarie, una volta sono i morti che ritornano, un'altra è il suo funerale: tumulti che vengono dal passato ma anche da un futuro ancora troppo incerto e, malgrado la sua età, ancora precario.
Secondo l'interpretazione dei sogni, il mare in tempesta è sempre il segnale di un evento funesto, perché è segno di un'inquietudine profonda, di un movimento incontrollabile. Ed è così che si apre questo nuovo capitolo della saga dedicata a Salvo Montalbano, con il mare che arriva fino a lambire il terrazzo del commissario, con un cadavere trovato a largo e due imbarcazioni ferme nel porto di Vigàta.
Un romanzo in cui il baricentro dell'azione si sposta dalla terraferma, dal commissariato e dalle stanze familiari, fino al mare, fino a lasciarsi inzuppare dal porto e dai suoi miasmi. L'indagine si avviluppa tra i vari personaggi che compongono questa storia: marinai provenienti da ogni angolo del Mediterraneo, misteriosi faccendieri senza nome e donne bellissime e pericolose come sirene.
Lidia è sempre più distante e Salvo non riesce più a nascondere la sua insofferenza non solo nei suoi confronti, ma anche verso una vita che sembra essersi cristallizzata. L'unico modo per sfuggire al tedio è ritornare a osservare quel mare che svela e nasconde, immergersi in una nuova storia che lo porterà a fare i conti con i suoi desideri più profondi. Lei è Laura, ufficiale della capitaneria di porto, una donna bella e intelligente che coordina le indagini sull'omicidio. Pare che l'uomo, rinvenuto senza vita su un canotto, sia stato avvelenato. Tutti gli indizi portano a indagare sull'equipaggio del Vanna, un'imbarcazione di lusso che, insieme a un potente motoscafo, sosta da qualche tempo nel porto di Vigàta. Si sa, le regole del mare sono diverse da quelle della terra ferma, e solo grazie a uno dei proverbiali colpi d'astuzia del commissario si riuscirà a venire a capo dell'intrigo.
Una storia di respiro internazionale stavolta, che richiede l'intervento di personaggi ben più influenti del nostro commissario, una vicenda che trascende i confini di Vigàta per coinvolgere temi di respiro universale. Un episodio che, da un lato, vede emergere gli aspetti più filmici della scrittura di Andrea Camilleri, con molta azione e colpi di scena, ma che dall'altro vede ridimensionarsi il personaggio di Montalbano. Un commissario schiacciato dagli eventi, dalle passioni, da una serie di dubbi che alla fine, inesorabilmente, si riveleranno più forti di lui.

CHI E' STATO

MEDITAZIONI SULLA FELICITA'


La felicità è possibile quando persino ciò che consideriamo sofferenza non ci rende infelici.

JESSICA ALBA

SIRIAN McKELLEN

IL DOLORE DI ATTILA JOZSEF


Il dolore è un posticino grigio, silenzioso,
col viso asciutto, gli occhi d'un azzurro chiaro,
dalle sue spalle fragili pende
la borsa, il vestito è scuro e consumato.
Nel suo petto batte un orologio
da pochi soldi; timidamente sguscia
di strada in strada, si stringe ai muri
delle case, sparisce in un portone.

Poi bussa. E ha una lettera per te.

MITICO BOLLANI!!!









JOSE' SARAMAGO

CESTINI DI PROSCIUTTO E MELONE




I cestini di prosciutto e melone sono degli invitanti antipasti realizzati con piccoli meloni tagliati a forma di cesto, che vengono svuotati dei semi e riempiti con la stessa polpa scavata a palline; vengono guarniti con due spiedini formati da roselline di prosciutto crudo e palline di polpa di melone. Il cestino verrà poi servito decorandolo con rametti di prezzemolo fresco.

Proponete queste piccole ceste di bontà come fresco antipasto, come secondo piatto o addirittura leggero piatto unico, assicurandovi di acquistare meloni dolci e profumati e prosciutto crudo di ottima qualità.


Ingredienti:
Melone 4 piccoli
Prosciutto crudo 16 fette sottili (circa 200 gr)
...per guarnire
Prezzemolo 4 ciuffi

Procedimento:
Prendete un piccolo melone e tagliatelo dandogli le sembianze di un cestino con il manico.
Svuotate il melone dei suoi semi e filamenti interni, raschiandoli con un cucchiaio e con l’apposito scavino svuotatelo della sua polpa formando delle belle palline; a tale scopo utilizzate anche i due spicchi tagliati lateralmente per formare il cestino. Fate così anche con gli alti tre meloni.
Prendete 4 fette di prosciutto crudo per ogni melone (4 fette per persona) e tagliatele a metà per il senso della lunghezza in modo da ottenere 8 strisce; arrotolate e arricciatene 4 strisce, formando delle roselline che infilzerete in uno spiedino alternandole a delle palline di polpa di melone.

Prendete le rimanenti 4 strisce di prosciutto crudo e avvolgetele sulle palline di polpa di melone, poi infilzate anch’esse su di uno spiedino.
Adagiate le restanti palline di polpa nell’incavo del melone e appoggiateci sopra gli spiedini ottenuti. Guarnite ogni melone con rametti di prezzemolo e posizionatelo su di una coppetta bassa da macedonia che gli faccia da base stabile evitando oscillazioni pericolose.

ROTOLINI DI ZUCCHINE CON CRUDO E ROBIOLA


I rotolini di zucchine con robiola e prosciutto crudo sono degli allegri e vivaci stuzzichini, indicati come saporiti antipasti e ottimi per accompagnare l’aperitivo.

Ingredienti:
Erba cipollina tritata 1 cucchiaio
Pepe
nero macinato q.b.
Prosciutto crudo 40 gr
Robiola 100 gr
Sale q.b.
Zucchine 12 fette

Procedimento:
Mondate le zucchine e ricavatene 12 fette dello spessore di 2-3 mm , tagliandole nel senso della lunghezza; salatele leggermente, disponetele su di una superficie piana leggermente inclinata, per far si che perdano parte della loro acqua di vegetazione (circa 15 minuti).
Mettete a scaldare sul fuoco una bistecchiera di ghisa (o di materiale antiaderente) e poi adagiatevi le fette di zucchine, grigliandole 1-2 minuti per parte.

In una ciotola ponete la robiola, l’erba cipollina, il pepe, il prosciutto crudo tritato finemente; amalgamate e riducete il tutto a crema; lasciate riposare in luogo fresco o in frigorifero per almeno 15 minuti.
Quando le zucchine si saranno raffreddate, spalmatevi sopra, con l’aiuto di un cucchiaino o con la lama arrotondata di un coltello, il composto di robiola precedentemente preparato. Arrotolate le zucchine su se stesse a chiocciola e disponetele in un piatto da portata guarnito con dell’erba cipollina.

BRUSCHETTA ALLA NAPOLETANA


La bruschetta è un piatto “contadino”, di solito servito come antipasto e ormai famoso in tutto il mondo. Nella versione più classica (che in alcune ragioni viene chiamata fettunta o panunto) è costituito da una fetta di pane (rigorosamente “rustico”) abbrustolito in forno o sulla piastra. Quando il pane è caldo e bello croccante, lo si strofina uno spicchio d’aglio e quindi si condisce con olio extravergine di oliva (di ottima qualità), sale e pepe. Vota

Preparazione:
Fate abbrustolire il pane sulla griglia (oppure su una piastra di ghisa, oppure al forno) strofinatevi sopra l'aglio, salate, pepate e cospargete d'olio. Servite le bruschette calde con pezzettoni di pomodori San Marzano messi a marinare per un'ora in olio e basilico .

Ingredienti:
8 fette di pane raffermo,
8 pomodori di San Marzano maturi,
2 spicchi d'aglio,
otto cucchiai di olio d'oliva extravergine,
sale e pepe quanto basta.

Suggerimenti:
La bruschetta può anche essere condita con altri ingredienti, soprattutto il pomodoro. Se volete sentire meno il gusto dell’aglio, vi consiglio di evitare di strofinarlo sul pane e di lasciarlo invece a marinare per almeno mezz’ora insieme ai pomodori, per poi eliminarlo. Tagliate i pomodori a dadini, aggiungete prezzemolo e basilico tritati (oppure origano), un po’ di peperone tagliato fine e magari una cipolla rossa di Tropea. Condite con olio e sale.

PICASSO


- Sì, lo sapevi fare anche tu. Ma l'ha fatto lui.
- Se ti fingi un esperto, attento ai colori: il periodo giallo non esiste
- "Sembri un quadro di Picasso" non è un complimento
- La folla fa la fila per vedere Guernica a Madrid, il vero intenditore punta direttamente al vaso zoomorfo a Vallauris
- Diventare pittore cubista ti fa rimorchiare più di un attore di Holliwood

sabato 26 giugno 2010

DIOGENE, IL FILOSOFO CHE S'ATTACCAVA ALLA GAMBA


Diogene di Sinope nacque quinto di cinque gemelli e fu dunque l'ultimo ad uscire dal ventre sfinito della povera Lilla.
I suoi primi due fratellini, entrambi maschi, furono regalati ai vicini di casa ai quali erano già stati promessi da tempo. La sorellina, visto che si era quasi a ferragosto, fu lasciata sulla A14 la notte stessa. L'ultimo fratellino finì invece in una balla.
Visto l'andazzo, appena fu in grado di stare sulle zampe, decise di fuggire dal luogo natìo fuggendo ad Atene. Lì ebbe modo di conoscere quello che da tutti è riconosciuto come suo maestro: Antistene, un uomo perbene che fra pranzi, merende e cene, insegnò al nostro come stare seduto, dare la zampa, fare gli occhioni tristi e la posizione migliore per farsi grattare la pancia. Fu il lungo periodo propedeutico all'insegnamento dell'ascetismo, carattere che influenzò la vita successiva di Diogene. Nel frattempo gli fu riconosciuto il pedigree.
Ma se vogliamo dire davvero chi fu Diogene bisogna essere diretti e non adombrare la sua vita con il fumo delle parole.
Ecco dunque quale fu il suo stile di vita:

1) viveva in una botte, e prima di prenderci alloggio sembra che l'avesse velocemente svuotata del suo contenuto: del Cannonau di Jerzu, nell'Ogliastra, 18 gradi.

2) andava all'anfiteatro e ci cagava. Lasciava fumante la propria opera d'arte proprio nell'esatto punto centrale. Da lì si capì che aveva cognizioni di geometria.

3) pisciava a tutti gli angoli, tornandoci ore dopo per il semplice piacere di annusare l'essenza della propria urina. Dal suo punto di vista tutta la Grecia gli apparteneva in quanto aveva "segnato" il territorio praticamente dappertutto.

4) mangiava ovunque e a bocca piena. Una volta gli gettarono addosso degli ossi, come a un cane, e lui, di risposta, gli pisciò addosso dalla felicità.

5) mandava affanculo chi lo contraddiceva.

6) quando aveva stimoli sessuali s'attaccava alla gamba del primo povero cristo che gli veniva incontro. Spesso serviva la secchiata d'acqua.

7) dal pelo, allora, gli spuntava la punta del pisello, rossa come uno Stabilo Boss.

8) esaltava la virtù dell'autocontrollo, perciò non si masturbò mai.

9) girava di giorno con una lanterna accesa in mano. Salvatore Garruso gli chiedeva il motivo del suo strano comportamento e lui rispondeva sempre così: cerco l'uomo.

10) girava di notte, nel buio, alle cascine con sacchi di monete falsificate da suo babbo. Salvatore Garruso gli domandava allora: "che minchia stai faccenno?!" - e lui: "cerco 'na fetenzia di femminina, basta sia".

11) chi minchia era Salvatore Garruso? e che cazzo ne so!

Comunque, nonostante il suo stile di vita, Diogene ebbe modo di confrontarsi o di conoscere grandi personaggi: Alessandro il Grande, che aveva grande ammirazione per il "filosofo che faceva i cazzi suoi", gli chiese se poteva esaudire qualche suo desiderio; lui gli disse di levarsi di culo, perchè stava prendendo il sole.
Platone lo definì "Socrate pazzo" ma lui rispose come potete immaginare e cioè con una rima.

Il suo pensiero, in fondo, si basò sull'esaltazione del cane. Naturalmente era di parte. Infatti il cane, per l'appunto, non si preoccupava dove poteva cagare, cosa poteva mangiare, dove dormire. Il cane non è stressato e sa subito, a differenza dell'uomo, chi lo prende per il culo e chi invece no.

Diogene esaltò il sacrificio della rinuncia in quanto necessario alla ricerca della bontà e ad un ritorno alla semplicità della natura. Egli pensava che gli uomini vivessero in modo ipocrita ed artificiale: ed era il 350 a.c.!!! chissà che avrebbe da dire oggi!

"L'uomo ha complicato ogni singolo semplice dono degli Dei" (Diogene di Sinope)

ANGELO BADALAMENTI

LA MIA PROMESSA DI SERGIO CAMMARIERE

NON ESISTE SAGGEZZA DI GIANRICO CAROFIGLIO


I racconti di "Non esiste saggezza" provengono dai luoghi della realtà quotidiana: sono volti che emergono dalla folla dei viaggiatori, in zone neutrali di transito. Soprattutto, figure di donne: con esse, la voce del narratore è partecipe, solidale, protettiva, come a voler condividere il peso di un segreto in varie forme doloroso, a volerle affrancare da un destino ostile. Appaiono improvvisamente: a un casello autostradale, la bambina solitaria chiede a un automobilista ignaro di accompagnarla verso il mistero. L'attesa notturna in un aeroporto è colmata dai versi di una poetessa russa, dalla sosta sfuggente di una sconosciuta. E, improvvisamente, queste donne scompaiono: dall'ambulatorio di una missione umanitaria, ultimo posto in cui sono state viste una dottoressa volontaria e la ragazza colombiana sua compagna, nella rischiosa sfida a ingiustizie e prevaricazioni. I personaggi maschili si trovano a cercare, a inseguire: un'impressione, un sospetto, una curiosità che li spinge oltre i limiti del prevedibile, talvolta del lecito. E la raccolta si completa con un vero e proprio romanzo di formazione in miniatura, ambientato negli spazi metafisici della Murgia. "Le cose non esistono se non abbiamo le parole per chiamarle."

Secondo l’opinione di alcuni, scrivere racconti è più semplice che scrivere romanzi, perché il processo creativo, per uno scrittore solerte, potrebbe esaurirsi nello spazio di un giorno. Ma scrivere dei buoni racconti è un’altra cosa. È l’arte di imbrigliare una storia in poche pagine. L’arte di trattenersi.
Gianrico Carofiglio, pur avendo raggiunto la notorietà grazie alla serie di romanzi polizieschi che hanno per protagonista l’avvocato Guido Guerrieri, non disdegna questa forma espressiva, anzi forse proprio nei racconti riesce ad esprimere tutta la sua abilità nel mantenere l’equilibrio tra la ricchezza della trama e la sua sintesi. Riesce a imbastire una storia, tratteggiare i personaggi con rapide pennellate, creare coinvolgimento e suspense suggerendo possibili percorsi alternativi, sperimentare nel finale e anche strappare un sorriso al lettore, tutto nello spazio di trenta pagine. Dieci minuti di godimento. E ci riesce perché il magistrato barese è quello che si dice “uno scrittore di razza”.
In questa raccolta di racconti, che include alcuni testi già pubblicati precedentemente (tra cui Vigilie, La doppia vita di Natalia Blum, Giulia, Mona Lisa, Il paradosso del poliziotto e naturalmente Non esiste saggezza, che dà il nome alla raccolta) è compreso anche un inedito, Il maestro di bastone, che può considerarsi un racconto di formazione. Si tratta della storia di un adolescente che, durante la turbolenta separazione dei suoi genitori, viene mandato in vacanza a casa di alcuni parenti, nella Murgia. In questa villa di campagna il protagonista del racconto, Enrico, scoprirà il fascino dell’avventura e il coraggio dell’incoscienza, scoprirà che il ruolo che ciascuno di noi si ritaglia nella vita è il risultato degli incontri e delle strade che ha percorso. Si tratta quindi del classico racconto scritto in prima persona sui turbamenti e le conquiste di un adolescente, ma Carofiglio li descrive usando uno sguardo quasi femminile, lo sguardo di quelle donne che dalla vita hanno imparato più di quanto non lascino intendere.
Gli altri racconti della raccolta sono invece accomunati da un’atmosfera noir e da personaggi pieni di mistero. C’è il viaggio in treno di un giovane poliziotto e la vigilia di Natale passata alla stazione Termini del maresciallo Bovio; c’è la storia di una bambina violata e quella di una donna perduta a un semaforo; l’inchiesta di un sostituto procuratore della Repubblica e quella di un famoso scrittore di romanzi gialli. Nonostante l’autorevolezza con cui si presentano i personaggi maschili, sono sempre le donne a calamitare l’attenzione del lettore. Pieni di fascino, i personaggi femminili di Carofiglio sono ombre senza passato che compaiono in queste storie e in queste vite destando stupore e spesso stupendosi di loro stesse. Il magistrato barese gli tributa una raccolta che è quasi una lezione su come si debbano tratteggiare i personaggi letterari e inserisce un racconto, Intervista a Tex Willer, che finisce per essere un metadiscorso sui personaggi e sulla loro esistenza, spesso autonoma, rispetto agli scrittori:

«Tex W.- Lei sa cosa c’è negli spazi fra le vignette?
…C’è tutta la vita che non è mai stata raccontata. Ci sono le vicende che non diventano storie – per scelta o più spesso per caso – e si perdono nei gorghi del tempo che passa. Ci sono le occasioni non colte, le cose che non vogliamo ricordare o non vogliamo sapere di noi stessi e degli altri. Gli spazi fra le vignette sono il sottosuolo della nostra coscienza».

TIZIANO SCARPA

domenica 20 giugno 2010

PET THERAPY: UN CANE PER AMICO

GEORGE ORWELL


Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario

GANDALF VS VUVUZELA !

MEDITAZIONI SULLA FELICITA'


La sofferenza, come qualsiasi altro fenomeno, è il risultato di un numero incalcolabile di cause e condizioni. Rinunciamo dunque all'idea che di essa ci sia sempre un responsabile e che basti trovarlo per non soffrirne più.

UNA GIOVANE OPERATRICE

DOPO AUSCHWITZ DI YEHUDA AMICHAI


Dopo Auschwitz non c’è teologia:
dai camini del Vaticano si leva fumo bianco,
segno che i cardinali hanno eletto il papa.
Dalle fornaci di Auschwitz si leva fumo nero,
segno che gli dei non hanno ancora deciso di eleggere
il popolo eletto.
Dopo Auschwitz non c’è teologia:
le cifre sugli avambracci dei prigionieri dello sterminio
sono i numeri telefonici di Dio
da cui non c’è risposta
e ora, a uno a uno, non sono più collegati.

Dopo Auschwitz c’è una nuova teologia:
gli ebrei morti nella Shoah
somigliano adesso al loro Dio
che non ha immagine corporea né corpo.
Essi non hanno immagine corporea né corpo.

FINTA CARBONARA DI FAVE E PECORINO

LA BRAVA NIPOTE

PRIMO APPUNTAMENTO


- Non far capire che aspetti questo momento da tutta la vita
- Se la serata è andata male, chiedi di dividere il conto
- Non ridere alle tue battute
- Dopo i vent'anni puoi fare sesso al primo appuntamento
- Dopo i trenta puoi saltare l'appuntamento e passare direttamente al sesso

sabato 12 giugno 2010

GIOVANNI LINDO FERRETTI

LA METAFISICA ORIENTALE DI RENE' GUENON



Questo testo riporta l'unica conferenza pubblica tenuta dall'autore alla Sorbona di Parigi nel 1925. In questo scritto Guénon sintetizza con le nozioni che, sulla metafisica, esporrà nel corso della sua opera. Ma perché "orientale"? Perché la vera idea di "metafisica", nel senso tradizionale, è andata oscurandosi in Occidente nei tempi moderni, fino a perdersi quasi completamente, e perché la sua essenza e le implicazioni metodologiche al suo accesso si possono ancora trovare esposte, in tutta la loro purezza, solo nei testi sacri dell'Oriente e nei commentari autorizzati dalla Tradizione.