mercoledì 6 novembre 2013

GIOELE DIX

La letteratura secondo Gioele. Niente di accademico, ça va sans dire. Al contrario, un esperimento da caffè letterario in chiave giocosa tra libere associazioni, aneddoti, riflessioni e connessioni impreviste. Sono i "Giovedix" in cui il comico e attore ma anche scrittore (di testi teatrali e di un romanzo, Si vede che era destino) legge, racconta, smonta e rimonta cinque grandi autori del Novecento: Italo Calvino, Primo Levi, Giorgio Manganelli, Achille Campanile e Dino Buzzati (da oggi, per cinque giovedì, Cafè Rouge del Franco Parenti).

Gioele Dix, perché proprio questa cinquina?

"Scelta arbitraria: fanno parte del mio dna, i pilastri della mia formazione letteraria".

Tutti italiani.

"Non per banale patriottismo, ma per senso di appartenenza. Mi interessano le invenzioni linguistiche".

Né reading, né lezioni. Che cosa sono questi "Giovedix"?

"Sono un esperimento in cui provo a riprodurre in pubblico quel che accade quando si legge un libro che ci appassiona: ci si ferma, si torna su una frase che ci ha colpito, si corre a un altro autore, a un film, a un pensiero, a un ricordo. Penso al lettore come a un esploratore di mondi. Esplorarli insieme è diverso dal farlo in solitario".

Stasera si comincia con Calvino.

"Sì, due racconti dalla raccolta Ti con zero: Il guidatore notturno e L'inseguitore, due formidabili riflessioni sull'idea di spazio/tempo. Per me Calvino è la complessità dell'intelligenza, come scendere in profondità senza zavorra, restando leggeri".

Giovedì prossimo tocca a Primo Levi.

"Ho scelto L'ultimo Natale di guerra, che contiene alcune interviste impossibili ad animali. Con me ci sarà anche Stefano Bartezzaghi per leggere Il gabbiano di Chivasso. Di Levi mi colpisce la fluidità. Si pensa a lui come all'emblema del sopravvissuto, ma la sua scrittura ha una freschezza impressionante. Mi fa quasi incazzare tanto sembra naturale".

Poi con "Centuria" arriva Manganelli.

"Manganelli è la fantasia folle, il trionfo dell'aggettivo senza renderlo indigesto, il paradosso funambolico come quello dell'inquilino che non c'è e i condominiche se la prendono perché "come si permette di non dare fastidio?"".

Di Campanile invece ha scelto il "Manuale di conversazione".

"Umorista geniale. Il primo libro che ho letto da ragazzino era un suo romanzo, Se la luna mi porta fortuna. Lì ho capito cos'è la scintilla che accende il rovesciamento benefico della comicità".

"Il colombre e altri racconti di Buzzati" chiude il ciclo.

"Buzzati è l'arte della sospensione. Racconta le cose lasciandole aperte come se un evento ineluttabile stesse sempre per accadere. Una sorta di disegno superiore: non punitivo come quello monoteista, ma affollato di dei capricciosi molto umani".

Ci sono parecchi illustri esclusi. Gadda, Svevo...

"Ma questo è solo il primo ciclo, se funziona ho intenzione di andare avanti. E Gadda non potrà mancare, Svevo invece mi sollecita di meno. Non farei mai Testori, che sento lontano, ma ci proverei con Pasolini".

Nessuna scrittrice?

"Vorrei occuparmi anche di poesia, per prima sceglierei Patrizia Cavalli".

I grandi classici non la tentano?

"Dante o Manzoni no. Dopo Carmelo Bene aggiungere qualcosa su Dante è impossibile, mentre per Manzoni mi servono ancora 300 anni per dimenticare quanto me lo hanno fatto odiare a scuola".

Tutte scelte molto personali.

"L'idea è condividere le mie passioni letterarie. Come se prestassi i libri che ho amato, che poi vuol dire regalarli. Perché, quando un libro è bello, mica lo restituisci. Al massimo lo passi a qualcun altro".

 

Nessun commento:

Posta un commento