giovedì 27 ottobre 2011

NOTTURNO ALLA PACE - ELIO MASTI


Mio babbo non mi ha parlato molto delle persone della sua famiglia. Mi raccontava storie, aneddoti, episodi, ma mai accennava ai loro caratteri.
Nonostante il fatto che in queste cose fosse chiuso, riservato e pudico, si sentiva che suo fratello Elio era una ferita aperta. E più volte, negli anni, mi ha sempre e solo detto una cosa sola: "gli assomigli, me lo ricordi". Non si spiegava, non entrava nei dettagli ma più volte mi ripeteva queste poche parole.
Di seguito trovate una lettera inviata dal Kenya, dove mio zio andò in guerra. E così almeno io sono riuscito a dare profondità alle poche parole di mio babbo.
Ora mi chiedo come egli potesse leggere queste righe, se davvero allora ne comprendesse l'espressione. Non ho una risposta a questa domanda ma di certo Elio Masti è stato una delle poche persone che gli è sempre rimasta nel cuore, come il suo amato babbo Giuseppe.



ELDORET (KENYA), 8 MAGGIO 1945.

Mio zio scrive a mio babbo:

"NOTTURNO ALLA PACE - MEZZ'ORA D'IMPRESSIONI"

E' finita la guerra... non è finita la guerra, ma una guerra.
E' morta dunque l'anima mia, se non si scuote, se non vibra, se non vacilla davanti a tanto annunzio?
L'anima è viva, ma pur la sensazione non arriva che a sfiorarla, a farla muovere tremula, per un attimo con un afflusso forzato di sentimento. Poi tutto tace.
"Una guerra è finita".
Penso: ma è la mia guerra, quella che ha fatto di me un essere patologicamente diverso, che mi ha spinto verso una psicologia fatta di sconvolta paura, di avida frenesia, di fremiti sconosciuti. Tutto un mondo è squarciato, corpi e anime, assieme e corpi in un tumulto di fuoco. L'orrido ha bagliori di sangue rosso; fiamme di sangue, vampe di sangue, nubi di sangue...
Ma l'anima è quieta, ascolta e tace.
Orsù! sentimento e ragione, cantate in gara la più pazza delle canzoni! Vi accompagni l'ultimo rombo, l'ultimo sgranarsi di mitraglia, come il ticchettio dei semi di una rossa melograna.
- Immensa è la tragica visione, troppi i canti spezzati in singulti, spietata è la forza dei numeri. Non c'è più xxxx capace di canto!
Io sono un'anima sola e piccola contro i xxxx e l'immenso. Non posso comprendere tutti e tutto. Tanto vale che rimanga in solitaria quiete. La visione è senza confini ed io non amo l'infinito: non posso andare e andare, solitario nel deserto, col solo bastone del desiderio. Lui si, il desiderio, si avvicina all'infinito e lo ama. Qual'è mai la meta?
Dune, sabbia, miraggi e solitudine. Tutto il mondo è un deserto per la anima mia! Penso: che ne fu di quei corpi, di quelle anime che xxxx frenetiche e corsero pazzamente e piansero e si presero a morsi di rabbia e strinsero gole col desiderio della libidine e spensero il ferro con la disperazione di un perduto?
Ognuno era un cumulo di pensieri, di sensazione, ognuno aveva in cuore un amore, un sogno, una speranza, tante speranze... come i tuoi amori, come i tuoi sogni, come le tue speranze! Penso al ferro contro la carne, al martirio dello stillicidio del sangue in un corpo sventrato... del mio corpo sventrato...
Che cosa è il mondo, che cosa è l'umanità, per un anima che si sente sconciamente, deliberatamente strappata dal suo corpo? Tutto, tutto crolla in quegli attimi, credimi!
Forse il furore residuale si acqueta nel fremito delle pupille, forse l'angoscia e la speranza lottano in ridda fra loro, forse lo spasimo è misero al cospetto del vuoto immenso e vicino.
Lo so! Lo so! E' impossibile vivere e trarre aria nei polmoni senza sentire odor di miseria e sapore di ridicolo. Che cosa speri da questo? Che cosa credi per questo?
Tutto è orrore; e l'orrore è affogato nel sanguee il sangue è fradicio e marcio di tradimenti e di passioni. E qualcuno mi dice: lascia che il sole imbianchi le ossa di quei corpi che espiarono l'ardore della loro anima; lascia che la terra inghiotta quei morti che aprirono smisuratamente gli occhi davanti alla grande menzogna, improvvisamente svelata, quando un genietto maligno costrinse il cuore in una minuscola coppa ghiacciata e aprì il velo purpureo davanti all'inumana smorfia disperata,, lascia che i vermi s'ingrassino e il fuoco incenerisca la carne di quei figli di madri...
Strano! avevano anch'essi una madre - ma forse una madre che non li amava come mia madre ama me, che non soffrirono quanto la mia soffrì per me, che non vissero per le pupille dei loro bimbi - bimbi di 20, 30 anni - come la mia vive per me, pupilla degli occhi suoi, stanchi e pazienti, dolcemente imbambolati nel sogno di un ricordo di trine e di culla. No! esse non potevano amare così, perchè il dolore di mia madre riempirebbe di sè il mondo, varcherebbe i limiti del finito, ruggirebbe come rumore di tuono. Se esse amarono così chi mai può contenere tanto dolore?
O forse nel dolore si identifica il non essere, il nulla? Non c'è, non sento intorno a me questo dolore: se ci fosse, e se fosse xxxx, dovrebbe soffocarmi, martoriarmi, agire in qualche modo nel mio sistema nervoso. No! anche gli altri ridono, mangiano e dicono il loro sogni con colori di frammenti gioiosi. No! non si può cantare se l'anima tace e gli uomini ridono.
Tutto è un pazzo ridere e chi non ride smania, e crede di soffrire adagiandosi in una rabbia intensa, xxxx, agrula, quasi che la gioia di un xxxx animale solleticasse le loro membrane celebrali. Altre speranze, altri sogni, altri sentimenti si affollano nel vuoto dell'anima e scivolano qui con l'ultimo sorso di dolce o amara illusione.
Rinasce la vita! Ecco cos'è questo fremito. Tremori, speranze, incantesimi e sconvolgimenti di visceri. Ritorna la vita! Ma non si può cantarla.
Sciampagna e sangue, alcool e frivolo: datemi un calice d'amianto capace di contenere l'infuocata miscela. Brindo alla vecchia Europa che nasce per l'ennesima volta, nel bagliore dell'ultimo incendio, sul cadavere dell'ultimo morto, davanti alla culla del primo nato alla pace, piccolo fante in fasce per il macello futuro. Brindo al divenire, allo stupendo inganno, all'alba e al tramonto di un giorno che non finisce mai. E col calice alto verso il sole che splende rido, rido, rido e lacrime di sangue mi bruciano le palpebre. Tutto è tumulto. Forse domani canterò... in questa ora non posso... lasciatemi piangere.

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