domenica 9 maggio 2010

IL VALORE DEI GIORNI DI SEBASTIANO NATA



Nel suo nuovo romanzo Sebastiano Nata racconta la doppia vita di Marco, manager rampante e filantropo

Il valore dei giorni di Sebastiano Nata, che esordì nel 1995 con Il dipendente, è un romanzo intenso, originale, intelligente (pieno di intelligenza empatica), scritto in una lingua educata, discretissima, che a volte può apparire un po’ inerte ma che invece intende solo sfiorare cose e persone (come quella luna che qui si descrive «garza bianca e leggera nel cielo» e come i colori tenui del paesaggio). è la storia di Marco, manager sempre in viaggio per il mondo, che va a trovare il fratello Domenico, eterno sfigato, nel marchigiano Porto San Giorgio, dove dopo il fallimento di un negozio tenta di aprirne un altro anche con l’aiuto di una nuova compagna, Teresa. Qui, lontano dal jet set e dal mondo degli affari, Marco ha una specie di conversione. Acquista un nuovo sguardo sulle cose, anche attraverso la lettura casuale di un passo di Ignazio di Loyola. Non farà una scelta radicale, di tipo ascetico, ma tornerà a fare il manager con una diversa mentalità: ad esempio decide di battersi perché prima dei tagli al personale si facciano quelli al marketing… Gli si rivela infine il «valore dei giorni», il significato umile ma infrangibile della vita quotidiana.
Su questo “romanzo di rivelazione” vorrei fare due considerazioni. Anzitutto è puntuale ed efficacissima la descrizione dell’ambiente di lavoro di Marco: una multinazionale, con le sue dinamiche e i suoi giochi di ruolo. Lì la durezza e ferocia dei rapporti sociali si manifesta nella sua nudità. Alcuni dialoghi del libro sono già la sceneggiatura di un film perfetto sul mondo della finanza e delle grandi corporation (molto più di Caos calmo) Poi accennavo all’empatia.

La conoscenza che ci dà la letteratura è sempre di tipo emotivo e identificativo. Ci mostra le conseguenza dell’avere una certa idea della vita e un certo sentimento della realtà. L’autore non si identifica con nessuno dei due fratelli. All’inizio mi è capitato di provare più simpatia per il manager, sempre con il blackberry acceso ma tormentato dai dubbi, che per Domenico, con la sua finta umiltà e la sua sincerità un po’ retorica. Poi, nel momento della “redenzione” di Marco ho un po’ diffidato di quella conciliazione utopica di affari ed etica, di egoismo e carità, sulla scia della fondazione filantropica di Bill Gates e di esperimenti alla Olivetti. Infine: dopo la morte di Domenico, Marco è attratto dalla sua compagna, Teresa, che ha un odore di liquirizia. Gli accade di pensare al suo corpo abbronzato, e poi alla cicatrice dura del seno che le è stato asportato per un tumore. E anzi immagina di carezzarla per dimostrarle che «era anch’essa una parte desiderabile del suo corpo» (contro le immagini di cosmesi e corpi lucenti della pubblicità). Ecco, il «valore dei giorni» cui perviene il protagonista, consiste nell’accettare tutta la realtà, anche quella apparentemente più atroce, nel desiderarla senza riserve. E questo può succedere soltanto se si assume un punto di vista diverso. Qualcuno potrebbe chiamarlo “religioso” o “mistico”. Io preferisco definirlo così: laicamente aperto a una nozione del sacro.

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