giovedì 6 maggio 2010

LA SPOSA TURCA



Opera terza di Fatih Akin, «La sposa turca» ha ottenuto in febbraio l'Orso d'oro alla Berlinale imponendosi su candidati prestigiosi come Rohmer, Loach e Anghelopoulos. Troppa grazia? Per alcuni versi discutibile (è un film interessante, non a una rivelazione), il premio ha avuto il pregio di far uscire dalla nicchia un cineasta di talento, che per età (trent'anni) e per origine (è un turco di Amburgo) è in sintonia naturale con un mondo che sempre più trae linfa vitale dal miscuglio di culture e di etnie. Significativo in tal senso che le angosce in cui si dibattono i due protagonisti non abbia nulla a che vedere con le difficoltà di integrazione. Anzi. Immigrati della seconda generazione, Cahit e Sibel, che si incontrano in una clinica psichiatrica dove sono entrambi ricoverati per un tentativo di suicidio, hanno semmai problemi con il loro mondo di provenienza. Se lo scontroso, violento Cahit che si trascina da un bar all'altro autodistruggendosi fra alcol e droga, mostra un totale disprezzo per tradizioni e religione del paese d'origine, la ventenne Sibel si è tagliata le vene perché, controllata da un padre e un fratello intransigenti, si sente prigioniera e non può fare sesso con chi le pare. Che Sibel chieda a un rottame come Cahit di sposarla, pur di andarsene di casa, è strampalato; che Cahit con il suo cattivo carattere accetti è altrettanto poco credibile. Ma che fra i due ribelli, i quali per un po’convivono come estranei ognuno cercando conforto fra le braccia di altri, sbocci alla fine l'amore è prevedibile e inevitabile quanto il dramma che subito ne consegue. «La sposa turca» comincia ad Amburgo e si conclude a Istanbul, come a suggerire simbolicamente che solo rientrando nell'alveo della terra madre Cahit e Sibel potranno recuperare il gusto della vita. Un po’sull'esempio di Akin, un regista che fa un cinema occidentale, forse con l'occhio ai melò di Fassbinder, dal cuore visceralmente mediorientale. In un composito cast turco-tedesco, più del consumato teatrante Birol Unel (Cahit) dall’ostentato maledettismo, convince l'inedita Sibel Kekilli, una ex-commessa da cui, con questa coraggiosa, magnifica prova, è nata un'attrice.

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