sabato 8 maggio 2010

LEZIONE I


Innanzitutto ho riflettutto su questo primo incontro. La prima cosa che mi viene da pensare è l'imbarazzo, la timidezza violenta, la paura che ho provato: uno stato in cui già mi sono trovato in situazioni analoghe; uno stato che conosco. Eppure ogniqualvolta riesco a sorprendermi di queste reazioni: del terrore che provo anche solo nel cercare di aprire bocca e di parlare. Mi si impasta la voce, sento un blocco interiore netto e grande difficoltà ad articolare. E poi un senso di inadeguatezza, di essere fuori posto, di non essere all'altezza. Avere sentito gli altri mi ha comunque messo a confronto. E da questo confronto mi sono sentito sempre sconfitto. Fosse dovuto solo al coraggio che gli altri hanno nell'esternare le loro impressioni, le loro opinioni.
Come un pugno nello stomaco. Ecco quanto ho provato tornandomene a casa; proprio un dolore fisico, e una leggera voglia di piangere. Poi, riflettendo su quello che avevo ascoltato, quasi arrivato a casa, un senso di leggerezza mi ha investito. Un po', come lo sciogliersi dei muscoli dopo un allenamento duro. La necessità di reagire, la voglia di liberarmi da questa mia prigione.
Ho rielaborato anche un pensiero che mi era sorto spontaneo durante la discussione e che non ho avuto il coraggio di esternare quando è stato il mio turno. Qualcuno ha accennato alla visione di immagini viste dall'alto, riferendosi ad un sogno fatto; qualcun'altro invece dopo aver visto alcune sequenze di Agora. Anch'io ho visto quel film e quelle immagini mi avevano colpite, le ho ritenute suggestive ma, un po' come tutto il film, fredde. Mi sono chiesto perchè avessi avuto questa reazione e mi sono ricordato che lo stesso regista, Amenabar, aveva già utilizzato questa tecnica nel film precendente, Mare Dentro, dove il protagonista, un paraplegico, sognava di volare fuori dalla finestra attraversando valli e campi salendo su verso il cielo e poi, infine, riscendendo verso l'immagine infinita del mare. Ricordo che in quell'occasione ero rimasto colpito, coinvolto dalla poesia dell'immagine. E riflettendo ho capito cosa in fondo distingueva lo sguardo di Agora da quello di Mare Dentro: La musica. E ancora una volta mi sono reso conto di cercare perennemente in ogni cosa un'emotivitità che non può essere presente in tutto. La cerco in ogni singolo rapporto che intrattengo, anche quando dovrei essere distaccato, certe volte per lavoro, professionale. Ed invece, ogniqualvolta debba instaurare un rapporto, cerco un'empatia emotiva, una conferma. Questo è un mo grande problema.
Tornando alla visone dall'alto, riesco a capire perchè amo così visceralmente "Il Sogno di Maria", una canzone di De Andrè dove l'arcangelo Gabriele nel donare la maternità a Maria la fa volare:

Volammo davvero sopra le case,
oltre i cancelli, gli orti, le strade,
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all'ulivo si abbraccia la vite.

Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde.....

E ancora un ricordo di quando avevo diciassette, diciotto anni. La notte, appena prima dell'alba, andavo sui poggi della Castellina, in un punto alto, ad aspettare il sole. Avvertivo la necessità di roteare, come fanno i dervisci nei loro balli impazziti e ipnotici, e così iniziavo il mio viaggio, il mio volo per le valli sottostanti: un volo verso l'infinito. Intriso di malinconia ma sopratutto di nostalgia. E non ho mai capito per cosa.

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