domenica 20 febbraio 2011

STABAT MATER - TIZIANO SCARPA


LA RETROCOPERTINA:
È notte, l'orfanotrofio è immerso nel sonno. Tutte le ragazze dormono, tranne una. Si chiama Cecilia, ha sedici anni. Di giorno suona il violino in chiesa, dietro la fitta grata che impedisce ai fedeli di vedere il volto delle giovani musiciste. Di notte si sente perduta nel buio fondale della solitudine più assoluta. Ogni notte Cecilia si alza di nascosto e raggiunge il suo posto segreto: scrive alla persona più intima e più lontana, la madre che l'ha abbandonata. La musica per lei è un'abitudine come tante, un opaco ripetersi di note. Dall'alto del poggiolo sospeso in cui si trova relegata a suonare, pensa "Io non sono affatto sicura che la musica si innalzi, che si elevi. Io credo che la musica cada. Noi la versiamo sulle teste di chi viene ad ascoltarci". Così passa la vita all'Ospedale della Pietà di Venezia, dove le giovani orfane scoprono le sconfinate possibilità dell'arte eppure vivono rinchiuse, strette entro i limiti del decoro e della rigida suddivisione dei ruoli. Ma un giorno le cose cominciano a cambiare, prima impercettibilmente, poi con forza sempre più incontenibile, quando arriva un nuovo compositore e insegnante di violino. È un giovane sacerdote, ha il naso grosso e i capelli colore del rame. Si chiama Antonio Vivaldi. Grazie al rapporto conflittuale con la sua musica, Cecilia troverà una sua strada nella vita, compiendo un gesto inaspettato di autonomia e insubordinazione.

LA RECENSIONE DELL'INDICE:
Romanzo di ambientazione/ispirazione storica, essendo calato nella Venezia di Antonio Vivaldi durante la prima metà del XVIII secolo e avente come protagonista un'allieva del cosiddetto "Prete rosso", Stabat Mater è però in primo luogo un'opera narrativa intimista dal profondo respiro poetico. Tutta incentrata su un ininterrotto monologo dell'io narrante femminile, essa ha come (quasi) unico sfondo il celeberrimo Ospedale della Pietà: l'orfanotrofio dove a lungo operò come compositore e insegnante di violino l'autore delle Quattro stagioni.
La sedicenne Cecilia è una delle innumerevoli ragazze che studiano musica e suonano nell'orchestra dell'"Ospitale". Tuttavia, ciò che la accomuna alle altre orfane è solo il fatto di essere stata pure lei abbandonata in fasce; mentre quello che la contraddistingue è una sensibilità introspettiva acutissima, nonché una non comune maestria violinistica. Però Cecilia ha un segreto: nottetempo, al margine di vecchi spartiti musicali, la giovane si dedica a una sorta di epistolario/diario. Scrive cioè lunghe lettere alla madre che non ha mai conosciuto, pur senza inviargliene una. Né saprebbe peraltro dove, nulla conoscendo intorno alla genitrice. Tale attività epistolare rappresenta comunque l'unica valvola di sfogo di una vita da reclusa, abitando la protagonista un'istituzione all'insegna della clausura. Come monache vivono infatti le giovani musiciste, che neppure durante i concerti (effettuati nella chiesa annessa all'ospedale) possono mostrasi al pubblico, suonando su alti "poggioli" protetti da grate.
Ma le lettere non sono appena un'afona e reiterata richiesta d'affetto, cui in parallelo si contrappone un puntuale rancore/rifiuto verso la figura materna assente; esse ripercorrono anche i ricordi di una infanzia fatta di solitudine e isolamento, rotto giusto dall'onere/svago di suonare assieme. E sarà proprio la musica che permetterà a Cecilia di maturare e di emanciparsi dalla condizione di subalternità/asservimento in cui sempre è vissuta. Grazie anche al rapporto conflittuale con un nuovo compositore in grado di creare partiture genialmente inquietanti, ossia "don Antonio", che sospingerà la violinista a sperimentare emozioni/situazioni mai provate, sino all'audace scelta di abbandonare l'orfanotrofio una volta per tutte. La prosa di Scarpa in Stabat Mater, assai lirica e modulata in brevi paragrafi (che alludono a strofe) ricchi di metafore e immagini di intensa forza evocativa e contraddistinti da una pregnanza espressiva oltremodo felice, non pare volta a tessere una mera trama orizzontale (di fatto quasi inesistente), ma sembra piuttosto mirare con insistenza a una verticalità profonda del sentire, tutta tesa com'è a uno scavo nell'anima della protagonista. Questa indagine fa dapprima affiorare materiale fantasmatico (come i sogni o le visioni allucinatorie; vedi quella, splendida, della morte in figura di donna con i capelli fatti di serpenti); ma se all'inizio svela solo una sofferenza sorda e abissale, sempre narrata però con toni estremamente pacati/misurati, si fa mano a mano più incline alle considerazioni riflessive, anche in forma squisitamente aforistica, o provocatorie, quali emergono dagli interrogativi della protagonista ("Perché le donne non compongono musica?", "Che cosa succederebbe, se il mondo venisse invaso dai suoni che accadono dentro l'animo delle donne?"). Sino a un'analisi sempre più attenta e lucida della realtà e del mondo a lei coevo, che Cecilia si deciderà infine ad abitare.

LA MIA:
Burro, cannella, farina, latte, lievito, limone, mele, sale, uova, vanillina e zucchero. Che cos'è? è una torta di mele. Ma certo è diverso mangiarsi ogni singolo ingrediente piuttosto che la torta finita, no?? Ecco, questo libriccino è stata un'esperienza simile: magari alcuni ingredienti sono di indubbia qualità, certuni rilasciano un retrogusto raffinato, ma mancano di collante. Quanti vuoti tra un periodo e l'altro! quasi degli abissi. Cento pagine di noia prima di assaporare almeno il gusto indimenticabile della cannella. Questo romanzo ha vinto il premio Strega nel 2008: forza giovani scrittori! c'è speranza per molti!
Disidratando: è il monologo di una musicista,orfana e rinchiusa nell'ospedale della Pietà di Venezia, che scrive ogni notte alla madre perduta e dialoga con la morte (una specie di caricatura del logo della Medusa Distribuzione). Nel sottofondo il turbamento della musica di Vivaldi, nuovo "maestro" che sopraggiunge nel corso della storia.

Alcuni passi interessanti:
"Com'è smisurato, questo mio niente. Io mi sento dappertutto, sento che in questo dappertutto non ci sono, e questo pensiero mi dà alla testa"

"C'è una grande consolazione nella monotonia. Le abitudini servono a cullare gli animi che non hanno nessun altro abbraccio che li riscaldi. Il mondo si ripresenta sempre uguale, non è troppo doloroso, non aggiunge sofferenze inattese, non pungola con inspiegabili desideri. Tu fatichi a sopportare te stessa. Perchè sovraccarichi gli altri del tuo dolore?"

"Volere. Volere bene, non riceverlo. Amare, non essere amati. E' molto più disincantato amare che essere amati. Non aspettarsi niente da nessuno"

"Invoco il giorno in cui gli strumenti sostituiranno del tutto le nostre voci, le cose prenderanno il sopravvento su di noi, spazzando via tutto questo inutile impeto, tuta questa passione, questo dolore."

"Le bestie urlavano il loro terrore. Non è vero che non sanno di essere mortali. Noi uomini glielo facciamo sapere prima di ucciderle, attraverso il modo in cui le uccidiamo. Vogliamo che lo sappiano, che condividano la nostra sorte. Noi uomini gli diamo la morte insieme alla coscienza della morte. Noi non sopportiamo che ci siano esseri che muoiano innocenti. Non riusciamo a essere i soli a portare il peso della conoscenza della propria morte"

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