domenica 25 settembre 2011

GIORGIO FALETTI


E’ ormai uno scrittore che vende 10 milioni di copie. Ma è stato un attore, cantante , un comico, e ora anche pittore “ Perché della mia intelligenza dubito, ma alla curiosità non ho mai rinunciato”. Nel 2002 scrisse “Io uccido” , esordio letterario, impennò i fatturati di fiere e autogrill.



Faletti come andò?

“Il primo libro avrebbe dovuto raccontare la storia di un sicario a pagamento. In corso d’opera diventò tutt’altro . Ma se vai a cercare patate e trovi diamanti , li raccogli. Ammesso che “Io Uccido” lo sia”

Il segreto del successo?

“La gente ha olfatto . Smaschera i bluff, le operazioni a tavolino , i volumi creati in laboratorio per trasformarsi in caso editoriale . Io scrivo ciò che sento , mi diverto e lavoro senza avere l’impressione di farlo. Se ci pensa, un vero privilegio”

Come nasce un bestseller?

“I miei hanno avuto la luce qui , davanti al mare. Svegli alle otto, colazione, salvifici ciondolii senza costrutto e poi , via, al computer. E’ un percorso lungo. DUra almeno sei mesi, ma non mi lamento. Se penso che faccio lo stesso mestiere di Hemingway e Vargas Llosa , mi sento mancare”

Male qualche anno fa si sentì davvero

“Un ictus. Nei giorni dell’uscita di “io Uccido”. Non so se furono più efficaci le cure dei medici o le notizie delle librerie”

Fu un trionfo di vendite remunerativo

“ I soldi sono un sistema per vivere bene , ma non sono ricco , non ho pretese e non ho mai scelto una direzione artistica in base al denaro. Per certe proposte rifiutate , i miei antenati mi maledicono durante la notte. Con i guadagni ho acquistato una maggior libertà , ma l’unica cosa che invidio davvero ai miliardari è la velocità degli spostamenti . Se per arrivare su Marte impiego 24 ore, il magnate le spende sei. E il tempo, purtroppo, non puoi comprarlo”

Dopo la malattia il tempo è più importante?

“Per un istante ho creduto che il tempo fosse finito. La malattia ha aspetti truffaldini e nessuno ti viene ad avvertire. Arriva e basta. Uno ti batte sulla spalla “E’ ora di andare. Subito”. Rischiare l’esistenza mi ha cambiato la prospettiva. Ho imparato a non rimandare. Faccio solo quello che mi convince. Nei limiti di una ragionevole umanità, credo di essere coerente”



Per Prezzolini era la virtù degli imbecilli

“Secondo me non è una virtù, ma una caratteristica. Coerenza non significa immutabilità. Tutti cambiano e, all’improvviso, non siamo più gli stessi. Io sono corretto , dico le cose in faccia e mi rifaccio a un antico proverbio veneto “La minestra ti sarà servita con lo stesso mestolo con cui l’hai servita tu”

Cova rancori?

“Pochi, ma ci sono cose che non riesco a perdonare. Umiliazioni gratuite , persone che hanno colpito con perizia quando ero più debole e incapace di reagire. Non dimentico e non stimo i vigliacchi”

Ascendenze familiari?

“Sono cresciuto in una casa modesta , ma uno nasce dove indica il destino. Cinquanta chilometri in là e avrei potuto chiamarmi Agnelli , invece sono, senza rimpianti , figlio di Carlo Faletti. Mio padre era ambulante, mia madre sarta. Vivevano in periferia , quando raggiungevano il centro dicevano seri “Andiamo ad Asti”

I suoi la sostennero?

“Non avevano gli strumenti. Papà era meticoloso. Sognava di entrare in banca come fattorino , ma a causa di uno zio disertore nella Grande Guerra , un’onta incancellabile , non ce la fece mai. Mamma almeno ebbe la ventura di seguire il suo percorso. Ho voluto bene a entrambi, di quell’affetto che non ha bisogno di dimostrazioni”

Infanzia difficile?

“Felice. Colorata. Fantasiosa. Se uscivo dalla porta principale avevo il viale , sul retro si spalancava il Far West. La pianura , il ponte, la ferrovia, la libertà. La sera , in cortile, i grandi tornati dal lavoro giocavano a Pallapugno. Nessuno aveva niente e ogni cosa era pulita, vivace, meravigliosamente semplice”

Imparò a leggere allora?

“Mio nonno aveva un magazzino . Come molti altri , nell’Italia del dopoguerra , si arrangiava. Comprava , rivendeva , ammassava senza requie i materiali più vari. Un giorno scaricò alcuni scatolini di libri. La mia educazione alla lettura sbocciò nella sua cantina. Ho letto dei classici a un’età in cui di solito si leggono i fumetti. Ricordo “Per chi suona la campana” e un capolavoro dell’umorismo , “Tre uomini in barca” . Per capire certi meccanismi comici , la lezione di Jerome è stata fondamentale”



Poi si laureò

“In Giurisprudenza , per far felice papà. Tuttavia, più che il pezzo di carta poté il mio primo mentore , il dottor Villavecchia. Mi assoldò per una rivisitazione di Giulietta e Romeo. Andò benissimo “Potresti perfino fare l’attore”. Gli diedi retta”

Risalì fino alla tv e approdò al Drive In di Antonio Ricci. Per alcuni, il principale detonante dell’odierno abisso culturale

“Un’assoluta stronzata , se permette la licenza. Una polemica agghiacciante. Cleopatra si comportò come sappiamo e a quell’epoca , del “Drive in” non c’era traccia. Il nostro programma interpretò un cambiamento di costume , ma le innocenti ragazze seminude altro non erano che le nipoti delle gemelle Kessler . “Drive In” ribaltò gli schemi , ma se proprio dobbiamo indulgere all’oscurantismo , trovo peggiore la degenerazione del linguaggio. Ora, per dare cittadinanza a un testo di cabaret, c’è bisogno di almeno un vaffanculo. E’ deludente”

Non apprezza le parolacce?

“Al contrario. Fanno parte del linguaggio di tutti i giorni. Ma prima del turpiloquio vengono le creatività e lo spessore del personaggio. Se mi calavo nelle vesti della guardia giurata pugliese Catozzo Vito , un vaffanculo ci poteva anche stare. Ma nel linguaggio di Suor Daliso , no. Omologarsi al peggio o rubare le battute a un rivale era per chi veniva dalla vecchia scuola un lampante manifesto di incapacità”

Dei nuovi comici le piace qualcuno?

“Checco Zalone è un genio. E per sensibilità , tic e maschera è l’Alberto Sordi di oggi. Mi sono stancato dei comici che vogliono propinarmi un messaggio. Una risata è fine e messaggio insieme. Adoro Zalone perché ha il coraggio di sembrare stupido”

Il rimpianto la visita mai?

“Ho fatto qualche sciocchezza , ma credevo di essere nel giusto e se ho sbagliato è stato per tutelarmi . Comunque sono in pace”



La rallegra il consenso?

“Siamo onesti. A chi non piace essere adulato? Pare che la nostra massima aspirazione di qualcuno sia diventare famoso per poi chiudersi in casa, non uscire e mostrarsi infastidito se ti chiedono foto o autografi. Ma allora perché fare tutta questa fatica? Non amo le persone che si esibiscono ma stravedo per quelle che una volta arrivate in cima , rimangono uguali al giorno prima”

All’Elba è possibile?

“Si è guardato intorno? Che sia scrittore o contadino , alla gente del posto importa zero. Se avessi desiderato altro , oggi sarei a Formentera”

Invece vive qui?

“Otto mesi l’anno. Avevo un bilocale , venivo di rado. Un giorno persi il traghetto e partii da Piombino che era quasi l’alba. Sbarcai qui alle sei di mattina , con l’acqua alta e la prima luce. Odori e sensazioni che da ragazzo provavo in Liguria , alla festa dell’Unità, quando la politica era secondaria e un calamaro fritto sembrava il Santo Graal. Pochi anni dopo vidi il sole incendiare il mare al tramonto e decisi di trasferirmi qui”

Pubblicherebbe un libro con Mondadori?

“Berlusconi come uomo di partito è una cosa, Mondadori è un’altra. Che si sia arrivati al punto per cui pubblicare con un dato editore riveste una valenza politica è spaventoso. Con Dalai mi trovo benissimo ma ora, in via eccezionale, pubblicherò un breve romanzo con Einaudi. E’ di Berlusconi , ma il libro l’ho scritto nel mio studio , non in una cabina elettorale”

Come si intitola?

“Tre atti e due tempi . Non è un giallo né un thriller , ma una storia di uomini. La scommessa è ambientare un racconto nel calcio parlandone il meno possibile”

Lo sport è una metafora?

“Dell’esistenza. E’ la guerra senza morti , feriti o bombardamenti. Una lotta senza lutti , in cui vince o dovrebbe farlo chi è più preparato. A volte non succede perché la vita non è un’equazione”

Vale anche per lei?

“Certo. Quando lavoravo al secondo romanzo mi chiedevo se ce l’avrei fatta. E’ andata bene , ma non covavo certezze”

Se le danno del pessimo scrittore?

“Mi rimane la libertà di pensare che esistano anche pessimi critici”

E’ un trapasso comune a molti colleghi?

“Dan Brown è stato vituperato , però con Il Codice da Vinci ha venduto 40 milioni di copie. Ho il vago sospetto che abbia ragione lui”

Con il successo è piovuta anche l’invidia?

“La cosa non mi turba. Convincere tutti è statisticamente impossibile. Non ci è riuscito neanc he Gesù Cristo”

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