domenica 14 novembre 2010

IL VUOTO


Come al solito mi sono svegliato alle sette. Mamma continua a chiamarmi,prima piano e dolcemente, poi sempre più insistentemente, alla fine venendo a scuotermi e ad urlarmi nelle orecchie.
Ho quasi dieci anni ed il cuore mi batte come un cavallo impetuoso e giovane.
La cartella mi pesa sulle spalle, il sonno avanzato mi copre la vista, assieme al rifugio del ciuffo di capelli. Il broncio è come il grembiule che porto, nero e perenne. Fa freddo e passo solo il cancello della piccola scuola che frequento; ci sono lo scivolo e l'altalena, pregni della notte appena dormita.
La notte ha avuto il batticuore e io lo so, l'ho passata dormendo e sognando il tumulto del mio primo amore. Ogni passo sento battere il bastone più forte, poi entro e nell'andito vedo la vecchia bidella, Vittoria, seduta e al solito, amorevole. Entro in classe ed è freddo. A casa mia non è così freddo, quando mi alzo c'è il tepore dei termosifoni accesi già da qualche ora, c'è il tepore di mamma. Ma oggi non m'importa, non sento nulla. Sono il primo arrivato stamani; subito prendo posto aspettando. I banchi hanno lo stesso colore di ieri, uno stucchevole carta di zucchero, la lavagna è nera eppure arieggia polvere di gesso, la cattedra è una cattedrale. Seguo solo il ritmo dei battiti e quello dell'ansia. Come la stazione della metropoli, si va via via riempiendo lo scacchiere della classe. Arrivano Alessio, Lucia, Damiano, Simone, Rossano, Simona. Tutti sono lì, solo il banco accanto al mio è rimasto vuoto. Infine arriva Giuliana, si siede e mi guarda, lungamente. Mi sorride, poi diventa accigliata e mi chiede: Federico? ti senti bene? Io la guardo e rispondo al solito, con un suono. Lei torna ad avere uno sguardo più severo e incomincia a fare l'appello.
"Perchè non ci sei stamani, nel primo giorno in cui aspetto i tuoi occhi chiari? E' passata una notte, buia come il tuo contrario, lunga come le ore della mia età. Dopo l'oscurità dovrebbe esserci la luce, è nell'ordine delle cose. Vedi fuori, già si ravvivano l'aria e le cose. Eppure è così: non vedo il colore delle tue matite, ne il biancore delle tue piccole mani. Hai smesso il grembiulino stamani? Hai fatto colazione a casa, col caffellatte ed i galletti zuccherati. Non ti hanno messo la merendina nello zaino; io mi sono fatto comprare le tue preferite, ne avevo portate due. Sento parlare, ridere, vociare... ma tutto me stesso è all'incanto del tuo banco vuoto. Non ci sei ed il mio cuore insiste nelle battute, ributta le onde nel mare, spuma di battigia. Mi sento un frutto maturo e pronto da cogliere; ieri avevo ancora delle striature verdi sulla buccia ed il sapore sulla mia lingua sarebbe stato di minerale e clorofilla. E' bastato il sole riflesso del sogno e oggi mi sento pronto, sodo e rosso. Ti ho immaginato lì, come al solito accanto a me, con i tuoi occhi freschi che mi portano via. Ti ho parlato ed ho fatto finto di trovare il coraggio di dirti che mi piacevi; tu sei arrossita ma poi mi hai dato un bacino. E sei scappata."
Giuliana finisce la lezione e ci comunica che la nostra compagna di classe si è trasferita lontano, in un posto che ho spesso sentito rammentare da mamma.
"Ma non vi preoccupate" ci dice, "starà bene, là c'è il mare".

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