lunedì 1 novembre 2010

I TRE GIORNI DELL'ATTORE


La paga era buona. Non potevo rifiutare, mi garantiva bevute per un bel po' e, di conseguenza, una buona dose di tempo fuori dal tempo.
Ma alla fine di questa sera, mentre con cenno finale reprimo l'ultima sigaretta nella cenere vecchia, mi sento sfinito. Mi stropiccio gli occhi arrossati e mi tengo le tempie dolenti. La storia è stata lunga e la parte pesante, carica e stanca come una guerra appena finita. Aspetto una fame sana.
Sono tre giorni che mi chiedo come starà: lo faccio mentre parlo con Marco, mentre sforzo l'ascolto della sua idea politica (ma non avrà ancora capito che non mi interessa?); lo penso mentre mangio quel poco che ho cucinato; quando incrocio e sorrido ai poveretti che fanno la spesa di domenica mattina.
La cassiera mi chiede il codice di avviamento postale nell'attimo in cui mi domando perchè l'ho portata a quel dolore. Rispondo sillabando i numeri: cinque, zero, zero, due, otto. Bastava mettermi al riparo per tempo. Lo avrei fatto anche per te. Le grondaie non sarebbero state intasate da una acqua piovana e tempesta.
Sotto al portico si può vedere la bellezza del temporale, respirare l'aria umida e assorbente, godere della luce rapida e rampicante al nero.
Con il cardigan avrei avuto la postura del conte. Per te il twinset sarebbe bastato a farti godere la mia compagnia.
Invece mi tremano le dita, vibrate dall'aria gialla dell'ultima Camel. I pensieri sembrano calabroni gialli e rumorosi, noiosi, notturni. Siedo su corda e paglia.
Come starà? C'è ingordigia ed avidità in tutte le mie azioni e di questo pagherò pegno. Un attore fradicio e buio, mozzicone, pregno, senza volto, solo, con i piedi nelle scarpe e le scarpe nelle pozzanghere. Tu no, tu meriti i tepori del sud.

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