venerdì 3 settembre 2010

PIC NIC


Avremmo dovuto portare più birre, cazzo. C'è rimasta quella sensazione ambigua fra ebbrezza e sbornia, che è realmente una via di mezzo, nausea allo stato puro. Comunque ci siamo distesi su questo prato di fili, piuttosto soddisfatti dell'arrosto freddo che Juliette aveva preparato. Charles ha lasciato andare, ed io ho fatto finta di niente, come sempre. Poi abbiamo visto passare la corsa bionda di Angelina, ridente e saltellante; dopo l'affanno paffuto di mio figlio Jean.

- I bambini si divertono, sibila Charles
- Anche le signore, mi pare, - dico volgendo lo sguardo verso chicchiere stridule.

Mi risponde una sigaretta accesa, in tono d'assenso; una piena espiazione di fumo, una voluta simile all'acqua dolce che s'appresta al mare.

Finisce che ci guardiamo. Distesi, sudati di vino e carne brasata. Cazzo, ci viene da ridere nello stesso momento. Ci abbracciamo come due finocchi ma subito ci sdegnamo: "Andiamo a pisciare, su", gli faccio.
- Ehi, Charles. Sono trenta fottutissimi anni che pisciamo insieme all'aria aperta e ancora continui a sbirciare. Ma non è che sotto, sotto....
- Fanculo, sono il tuo vecchio padre.... devo controllarti la prostata, tante volte cominciassi a dare brutti segnali.

Ci siamo voltati riabbottonandoci la patta, guardando le donne e i bambini. La tovaglia ancora a terra è una natura morta: una mela, mezzo bicchiere di vino e una salsiccia poco cotta.

Mi metto le mani in tasca e cerco le risate di queste ultime due ore; quelle di Matilde, quando gli ho raccontato del fatto dell'altro ieri; e di Charles che continua a ridere su storie dette e ridette.

In tasca trovo un piccolo foglietto bianco con su scritto. "Pic nic".

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