sabato 4 settembre 2010

UN FURTO


Non si prepara una cosa del genere improvvisando. C'è bisogno di tempo, di lavoro, della massima discrezione. Si deve necessariamente essere invisibili.
Ancora più difficoltoso se il soprallugo va fatto in un posto come questo: poche case e poche persone; che vuol dire tante parole in circolo, veloci e spesso vane. Ma fortunatamente l'esperienza aiuta. Dopo quasi vent'anni di colpi, brutti o buoni, riusciti o meno, di denaro o di pasta e fagioli, si impara la difficile arte dell'attenzione.
Stasera, sabato quattro settembre, sono certo che in quella casa non ci sarà nessuno. Godo di una tranquillità rara e posso dire d'avere una libertà d'azione pressochè totale. Dunque, visto che sono quasi le 21 posso innestare la prima marcia della piccola utilitaria blu che ho scelto per l'occasione. Durante le settimane precedenti ho sempro cambiato auto ogni volta che mi sono avvicinato, così come le mie sembianze sono sempre parse diverse. La prima volta ho preso un caffè frettolosamente al piccolo bar; successivamente ho fatto carburante e scherzato col gestore del distributore, un tipo fumino; addirittura ho pranzato nel piccolo ristorante. Ed ho pure mangiato bene. Nessuno ha fatto mai osservazioni o ha notato le mie precedenti visite.
Stasera no. Stasera è il giorno del colpo e sono ombra nell'ombra, un po' come il colore di questa piccola auto che sparisce nella prima notte profondamente blu di fine estate. Bene... ho attraversato il paese; ho posteggiato trenta metri più avanti, in uno spiazzo comodo e nascosto da una bella barriera di cipressi scuri. Sono sceso, ho chiuso l'auto e mi sono incamminato. La distanza non è poi granchè e ho pure avuto la fortuna di non incontrare nessuno. Pure il piccolo cancello che immette verso le scale di casa è stato lasciato aperto. Meglio, avevo notato che cigolava. Solo salendo i gradini ho sentito il battito del cuore farsi vivo, non tanto più veloce ma più basso, quasi sordo.
Aprire la porta di una casa di cui non posseggo le chiavi è diventato oramai più semplice di quando m'avvicino al mio blindato, certo non mi devo affannare a cercare la chiave giusta. Sono entrato e mi sono messo la porta dietro le spalle. Per tredici minuti sono rimasto lì, fermo nel buio dell'ingresso. Respiravo quell'aria invidiata. Avevo davanti questo piccolo corridoio e sapevo bene che percorrendolo sarei arrivato nella grande stanza. Mi sono mosso infine, e con il passo sicuro di chi conosce la via sono arrivato alla fine del corridoio. Là ho acceso la luce. I miei occhi si sono stretti ancora di più, come fessure di persiane. Mi sono seduto davanti al pianoforte. A destra il camino spento dal passato inverno; a sinistra quel divano. L'ho guardato quel divano, lungamente. Non so il tempo ch'è passato, probabilmente poco più di un ora. Poi mi sono alzato e mi sono diretto verso la cucina. Sapevo di avere le spalle al soppalco; volutamente non ho alzato lo sguardo in quella direzione. Un ricordo era previdentemente giunto al tempo giusto. Ho aperto il frigo e preso una bottiglia d'acqua ghiacciata, poi un grosso bicchiere spesso.L'ho riempito. Ho bevuto e mentre lo facevo mi vergognavo, come le vampe che da tempo non vedo più sorgere sul tuo viso. Allora ho risistemato tutto a posto, ho spento la luce e me ne sono uscito. Ho guardato il cancello ed il selciato che basso seguiva l'andatura delle mie scarpe. Sono uscito dal paese incrociando le risate di due adulti ed un bambino. Eh sì... sono un ladro da quattro soldi, non potevo davvero rubare nulla.

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